La scena è occupata da un pavimento grigio fumo ondulato, una scura collina in salita, fatta di grandi pannelli rettangolari spostabili. Al centro, di profilo, un uomo in luce, abbigliato di nero, guarda il pubblico che entra a teatro. Siamo alle Fonderie Limone di Moncalieri per il festival Torinodanza che ha riportato in Italia The Great Tamer (Il Grande Domatore), titolo 2017 del coreografo, regista, artista visivo greco Dimitris Papaioannou, uno di quei nomi che nel teatro e nella danza di oggi fanno la differenza per il ritmo della scrittura, la capacità di racconto delle immagini, la creazione di affreschi in movimento che risvegliano la percezione, l’originalità del lavoro sul corpo, la maestria nella trasformazione personale di fonti letterarie, mitologiche, pittoriche, cinematografiche. È di quei pochi che sanno tradurre la complessità in una visione di potente limpidezza che non lascia dubbi sulla grandezza dell’artefice.

Nato a Atene nel 1964, formazione in Belle Arti, Papaioannou inizia la sua storia come pittore e autore di fumetti. Nel 1986 fonda l’Edafos Dance Theatre, con cui lavorerà fino al 2002 sviluppando un’esperienza a tutto tondo nelle arti performative da regista, coreografo, performer, scenografo, costumista, disegnatore luci. Al grande pubblico diviene noto nel 2004 per aver curato le Cerimonia di apertura e di chiusura delle Olimpiadi di Atene. Vincitore nel 2017 del premio Speciale XIV Premio Europa Realtà Teatrali, Papaioannou ha all’attivo 23 produzioni di diversa scala. La sua ultima creazione, New Piece I – Since She gli è stata commissionata dal Tanztheater Wuppertal Pina Bausch. Sarà ad Atene in dicembre, al Sadler’s Wells di Londra in febbraio, a La Villette di Parigi il prossimo luglio.

«Inside» foto di Rene Habermacher

E in Italia? A Torino intanto, alle Officine Grandi Riparazioni, oggi e domani c’è ancora tempo per vedere l’ipnotica videoinstallazione Inside: sei ore di vite quotidiane riprese in una grande stanza con letto, tavolino, bagno e finestra con vista in movimento.
Ma veniamo a The Great Tamer. Il Grande Domatore è il Tempo, presenza costante dei nostri giorni sulla terra, ma anche del nostro non essere al mondo, di chi ci ha preceduto e di chi ci succederà. La collina grigia è terra di antichi miti, superficie mobile da cui emergono corpi, da cui si rivela attraverso buchi improvvisi tra i pannelli un buio mondo sottostante. Inferi in cui vive la figura femminile di Persefone, figlia di Zeus e Demetra, che esce alla luce solo quando è Primavera. I dieci danzatori di Papaioannou sono interpreti di una drammaturgia visiva magistrale, quasi una partitura musicale quanto è perfetta nei tempi con cui si alternano le suggestioni, con cui tornano alcune visioni, con cui ne arrivano di nuove.

L’uomo in nero che apre lo spettacolo si spoglierà completamente per adagiarsi su un pannello rovesciato di colore bianco. Nudo, con i piedi verso di noi, giace in una tomba a cielo aperto, coperta con un lenzuolo da un altro danzatore: telo che molte volte volerà via scherzoso dalla tomba, sospinto dall’aria mossa da un altro pannello caduto verso l’uomo steso. Perché in The Great Tamer la morte, così presente, si stempera sempre in un nuovo alito. Basta ripensare ai magnifici danzatori/astronauti che camminano a passi morbidi Sul Bel Danubio Blu di Strauss rimandando a 2001 Odissea nello spazio di Kubrick: estraggono tra i pannelli un ragazzo seminudo.

Morto che rinasce tra le braccia dei lunari esploratori, una pietà michelangiolesca che riprende vita. In Papaioannou nulla mai si blocca: il giovane, che ha una favolosa qualità di movimento, diventa ora una Venere botticelliana tra le Grazie, ora un Narciso che cerca il suo doppio nelle acque, ora una cavia nella superlativa citazione della Lezione di anatomia del dottor Tulp di Rembrandt. In questo ciclo visionario di trasformazione dell’uomo nel Tempo, succede anche che i corpi si intreccino tra maschile e femminile, creando, grazie alla ricerca sul movimento ideata dal coreografo e chiamata Body Mechanic System, incredibili figure antropomorfe. Chiude un piccolo foglio dorato sospinto da un danzatore per il cielo, forse quel soffio che ci sostiene dentro l’inesorabilità del Grande Domatore. Tra le prossime tappe, 24 ottobre, LAC di Lugano.