Dieci piccole danze, estratti folgoranti rimixati in un tutt’uno che trascina. È tornato in Italia Deca Dance, spettacolo firmato nel 2000 dal coreografo israeliano Ohad Naharin per la Batsheva Dance Company di Tel Aviv, oggi interpretato dal Batsheva Ensemble, la formazione giovanile del gruppo, composta da danzatori tra i 18 e i 24 anni.

Debutto al Comunale di Ferrara, poi piazze al Comunale di Vicenza e al Grande di Brescia. Un progetto, il Batsheva Ensemble, che dura due anni, rinnovandosi nell’organico ogni 24 mesi per dare ad altri talenti in erba della danza la possibilità di sperimentare energia creativa e interpretativa attraverso uno speciale linguaggio del corpo.

È il ‘gaga’ style, messo a punto da Naharin, ovvero un modo di crescere nella danza legato a una visione del movimento immaginativa: creatività sposata a un lavoro sulla qualità del gesto e sulla relazione del singolo con lo spazio, vibrante e musicale. Danzatori di grande tecnica, ma spronati a cercare in sé la ragione e la bellezza del movimento, sviluppando un sentimento di partecipazione a un tempo più universale.
Diretto dal giovane Matan David che lavora in tandem con il direttore delle prove Hillel Kogan, il Batsheva Ensemble apre con la bellezza di un gruppo nella luce, un estratto da Max del 2007, una danza che è un ‘just make it’, una presentazione che è come dire «noi ci siamo».

C’è il colore, l’energia di una danza che cresce per dettagli semplici, ma efficaci, e che poi si diversifica in danze maschili e femminili dove la comune grinta si apre a sfumature di tono. Una danza costruita per accumulo e variazioni di tema. Torna nel ricordo l’impatto del bellissimo Virus, di cui c’è un estratto, con quella danza diretta e libertaria, politica che lo si volesse o no, una danza che, anche così estrapolata dal suo contesto originale, senza più il muro nero alle spalle, mantiene intatto il suo vigore battagliero. Un graffio che Naharin, con maestria timbrica, mette a contrasto con danze più ipnotiche e rarefatte.

Verso la fine di Deca Dance, i danzatori scendono tra il pubblico e invitano un discreto numero di spettatori a salire sul palcoscenico. Lo si sa che accade, se si è già visto Deca Dance, eppure, ogni volta, questo momento collettivo regala qualche piccola sorpresa. Come la palpabile partecipazione del pubblico alla danza di una signora di mezz’età, magnifica sulla scena del Comunale di Ferrara per naturalezza e gioiosa armonia.

Così, quando il pubblico riscende e si ricreano gli spazi consueti, la condivisione si è creata e quella danza piena di vita e gioventù, in semicerchio tra le sedie, con cui i danzatori chiuderanno lo spettacolo, diventa anche la propria. Gli interpreti lanciano cappelli, giacche, camicie verso il centro della scena, mentre cantano una trascinante filastrocca. Le parole vengono da una canzone ebraica pasquale, ma più del significato del testo, conta quella collettività in semicerchio di corpi e voci e l’energia che, in modo inequivocabile, proiettano nella sala come un vortice di speranza.