Il femminismo come sguardo trasversale, capace di connettere interi universi, fa esplodere la sua potenza ermeneutica quando si confronta con i temi generali di crisi che affliggono il reale. Ne è un esempio l’ultimo lavoro delle studiose argentine Luci Cavallero e Verónica Gago, Vive, libere e senza debiti. Una lettura femminista del debito, edito da Ombre Corte con la prefazione di Federica Giardini e la traduzione di Nicolas Martino (pp. 149, euro 14).

LA PRIMA ARMA che questa ricognizione attenta e intelligente della questione debito mette a disposizione riguarda la capacità della lettura femminista di smontare l’astrazione che slega la finanza dalla sua responsabilità sociale. Il modo di procedere di cui si dà notizia, lungo i tanti esempi estrapolati da anni di lotte in America latina e le tante ricerche di cui si fa menzione, aspira a diventare metodo di lettura del mondo: quando si parla di finanza, di inflazione, di agenzie di credito, di tassi bancari, riusciamo a rappresentarci le proiezioni che questi istituti innestano sulla materialità della vita? Se lo facciamo, come lo hanno fatto i vari collettivi di Non una di meno in tutto il mondo, le varie esperienze di potenza praticata dallo sciopero femminista, le tante organizzazioni di lavoratrici e migranti, le associazioni contro le speculazioni immobiliari o contro l’invisibilità del lavoro riproduttivo, riusciremo a identificare gli effetti del processo di finanziarizzazione in termini di violenza nelle case e nei territori, in termini di sfruttamento del lavoro, in termini di iniquità sociale. «L’economia femminista – ci avvertono le autrici – implica una ridefinizione, da parte dei corpi differenti e dissidenti di ciò che è lavoro e di ciò che è espropriazione, dei modelli di agire comunitari e femminilizzati, in cui oggi sono impegnate le economie popolari, migranti, domestiche e precarie. Essa apre una linea di ricerca in relazione alla finanza come guerra alle nostre autonomie».

CAVALLERO E GAGO utilizzano tutto il materiale esperienziale accumulato negli studi e nelle lotte per definire non solo i possibili assi di intervento nelle forme di ribellione al meccanismo perverso dell’indebitamento, bensì per spingersi in avvertimento ai tranelli che si possono incontrare, diventando una sorta di mappa del tesoro, dove per tesoro si intende una esistenza degna per tutti. Molti gli esempi della portata «ulteriore» di questa pubblicazione: quando mettono in guardia dal pericolo che il riconoscimento del lavoro di cura possa avvenire al prezzo della sua servilizzazione, quando chiedono di comprendere a fondo «le forme del lavoro migrante e le nuove gerarchie tra i lavoratori free lance».
Quando tratteggiano le insidie culturali che sono dietro ai modelli di imprenditoria femminile, quando scavano dietro ai piani di riscatto delle proprietà occupate la volontà di estorcere un consenso volontario agli sfratti.

QUANDO RICORDANO le analisi di Melinda Cooper, che studia i motivi per i quali sia i neoliberali che i conservatori si siano opposti a programmi a basso budget a favore delle madri afroamericane single, che con i loro corpi danneggiavano l’immagine di famiglia eterosessuale bianca che rappresenta «l’orizzonte morale» delle politiche di finanziarizzazione.
Danno una forza impressionante al testo le interviste che ne costituiscono l’appendice. Testimonianze di carne dei dispositivi illustrati, ma anche delle insorgenze sperimentate nelle diverse comunità, come il pasanaku, una «cassa di risparmio autorganizzata tra compagne» senza interessi, spesso usata per tirare fuori una delle partecipanti dal meccanismo perverso dei tassi di indebitamento.

NELLE OTTO TESI sulla rivoluzione femminista riportate alle fine, si ripercorre, con precisione sistematica, la grande portata dell’opportunità femminista nella possibilità di «mappare il nesso concreto tra violenza patriarcale, coloniale e capitalista. Ciò dimostra, ancora una volta, che il movimento femminista non è al di fuori della questione di classe, né può essere separato dalla questione di razza». Che nel coglierci come soggetti non isolati il femminismo dispiega la sua forza di essere lo sguardo più opportuno sul mondo.