Le scuole sono chiuse fino al 15 marzo per gli studenti, ma non per il personale Ata obbligato a prestare servizio nelle aule deserte per emergenza del coronavirus. L’obbligo vale anche per i docenti che sono stati invitati a partecipare ai collegi e altre riunioni, con il rischio di accelerare i problemi sanitari che si vogliono evitare con un provvedimento unico nella storia della scuola italiana. Restano aperti anche convitti ed educandati. «A questo punto, qualsiasi Ata o educatore che dovesse venire contagiato a seguito di tali scelte sconsiderate avrà diritto ad intentare causa allo stato per danno biologico» sostiene Stefano d’Errico (Unicobas). La stessa situazione si ritrova nelle università dove i rettori della Crui ieri hanno evidenziato che la didattica è sospesa, ma le attività di ricerca e tutti gli altri servizi agli studenti proseguono regolarmente. L’emergenza c’è, ma è discrezionale e non riguarda i lavoratori.

Il sindacato Gilda ha chiesto al governo di limitare l’obbligo di frequenza dei docenti al minimo necessario. Anche in questo caso si vorrebbe evitare il contagio, e infatti i docenti non devono recarsi a scuola, tranne nei casi in cui siano già programmate le attività degli organi collegiali e privilegiando, comunque, le modalità telematiche. «Gli incontri non urgenti vanno rinviati» sostiene Rino Di Meglio che chiede l’uso di Skype e altri strumenti di contatto a distanza per mantenere le relazioni tra docenti durante i giorni dell’emergenza. «In questa situazione è assolutamente ingiustificata ogni richiesta di ferie o di recupero ore» da parte dei presidi, sostiene Di Meglio il quale chiede al ministro dell’Istruzione Azzolina di accelerare la nomina direttori ai vertici di molti Uffici scolastici regionali. Un ritardo che complicherà la gestione dell’emergenza.

Unicobas ha criticato anche la campagna, definita «senza precedenti», volta a far passare l’obbligatorietà della presenza a scuola e della didattica a distanza per gli insegnanti. Ad oggi solo un centinaio di scuole si sono rese disponibili a gemellarsi con gli istituti chiusi nelle «zone rosse». Il Miur ha specificato che non esiste alcun «obbligo» di frequenza di «webinar», ovvero di «seminari» organizzati online. Sono 20 le ore di lezioni organizzate in collaborazione con l’istituto Indire.

I Cobas scuola di Bologna hanno evidenziato un’altra contraddizione già emersa nel precedente decreto adottato dal governo il primo marzo scorso, e non chiarito da quello di ieri. «Si richiama la necessità di un pronunciamento del Collegio dei docenti per attivare modalità di didattica a distanza, quando l’effettiva convocazione del Collegio è preclusa dalla ratio stessa del provvedimento». Ovvero: per fare lezioni online, laddove è possibile, bisogna incontrarsi di persona. Ma questo è un rischio che nega l’emergenza che si vuole contrastare con un provvedimento eccezionale.

Per i presidi «queste attività vanno potenziate , tenendo conto anche delle possibili difficoltà di accesso a tali metodologie da parte di alunni residenti in aree a bassa connettività, che non dispongano di tecnologia o con difficoltà di altro genere» sostiene Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale Presidi. Giannelli sostiene anche la necessità di usare l’emergenza per modificare uno dei pilastri della legislazione che prevede, sin dal 1974, l’obbligo della presenza fisica nelle riunioni degli organi collegali.