Un abbassamento «lieve e momentaneo» dell’Iva, vincolato a «un piano cashless per far emergere il sommerso». Forse. Vedremo. «Ci stiamo consultando perché nessuno ha una ricetta pronta». A sipario calato sugli Stati generali, che come prevedibile hanno prodotto ben poco, Giuseppe Conte derubrica un po’ la proposta di abbassare l’Iva, con la quale aveva chiuso la kermesse di villa Pamphili. Ipotesi fra tante, tutta da verificare.

LA MEZZA RETROMARCIA era inevitabile dopo il coro di critiche. Contrario il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: «Troppo costosa». Negativo il governatore di Bankitalia Ignazio Visco: «Serve una riforma complessiva, non imposta per imposta». Ostile il Pd, per bocca del viceministro all’economia Misiani: «Per un intervento percettibile e significativo si dovrebbero investire risorse molto ingenti». Tetragona Italia viva, che incarica il responsabile dell’Economia Marattin di volgere il pollice all’ingiù: «Ci sono risorse per un solo intervento:Irap, Irpef o Iva. Un abbassamento temporaneo dell’Iva non avrebbe alcun effetto sui consumi». Per Iv quell’unico intervento possibile deve essere concentrato sul taglio del cuneo fiscale. Magari anche sulla cancellazione dell’Irap. Perplessa LeU, tramite capogruppo De Petris: «Casomai serve un taglio modulato per indirizzare verso la riconversione ecologica il modello di sviluppo». D’accordo c’è solo la Lega: «Ogni taglio delle tasse per noi va bene».

I PRECEDENTI STORICI danno ragione agli scettici. Ci hanno provato in momenti diversi Francia e Uk: risultati o insignificanti oppure rimangiati con gli interessi appena scaduta la fase di abbassamento. Ci sta provando ora la Germania, dal primo luglio al 31 dicembre, ma la Germania ha altri mezzi e può permettersi di investire 20 miliardi tondi per provare a rilanciare i consumi. L’Italia no. Il cruccio di Conte, per quanto discutibile possa essere la risposta, è sensato. Il lockdown è finito. I consumi non ripartono. L’idea del taglio momentaneo è dettata dall’urgenza e dalla disperazione. Ma è un circolo vizioso. L’intervento emergenziale per cercare di risollevare consumi e domanda interna costa parecchio e la somma dei fondi che servirebbero per affrontare le tante emergenze che si sono già accumulate ma che esploderanno solo dopo l’estate è già proibitiva.

L’attesa messianica per il Recovery Fund,da questo punto di vista, è fuori luogo. I fondi europei, quando arriveranno, serviranno a scopi anche più fondamentali ma meno emergenziali. Investimenti mirati, sempre che si riesca a spendere bene quei fondi, in modo da tirare fuori l’Italia non solo dalle conseguenze del Covid ma anche dallo stato di crisi latente in cui si trovava da prima che le notizie da Wuhan destassero l’allarme. Per l’emergenza non serviranno, sia perché quei fondi saranno vincolati a quelle esigenze strategiche sia perché, comunque, arriveranno solo nel 2021 e Frau Merkel ha detto chiaramente al collega di palazzo Chigi di non sperare in un impossibile anticipo-ponte.

L’EMERGENZA PRINCIPALE è il blocco dei licenziamenti, che scade il prossimo 7 agosto. I sindacati, agli Stati generali, l’hanno reclamato. Gualtieri, sia pur facendosi tirare fuori le parole di bocca con le tenaglie, ha assicurato che ci sarà. Implica il finanziamento della Cassa integrazione probabilmente sino al prossimo dicembre. Si tratta di 4 miliardi al mese abbondanti. Pd e Iv hanno già iniziato a mettere le mani avanti: «Meglio creare posti di lavoro che bloccare i licenziamenti».

Indiscutibile, purché i posti di lavoro arrivino in tempi e quantità tali da evitare l’ondata di licenziamenti. Poi bisogna rifinanziare il Fondo liquidità per le piccole e medie imprese e ci vorrà un altro corposo mucchio di miliardi. Il sostegno ai Comuni e, senza Mes, alle spese sanitarie aumenterà il pacchetto di circa 4 miliardi. Ma non è finita qui. I 5S sono stati i meno critici con l’ipotesi di abbassamento temporaneo dell’Iva. Però hanno specificato che prima viene la proroga della scadenza fiscale del 30 giugno almeno fino al 30 settembre. Un problema per Gualtieri, che su quelle entrate ci conta.

I Btp Futura, in vendita solo per i piccoli investitori dal 6 al 10 luglio, daranno una mano e andranno bene, dati i rendimenti vantaggiosi. Per la stessa ragione però peseranno su un debito già oberatissimo e che lo sarà ancora di più dopo le manovre in deficit che si imporranno per fronteggiare le emergenze di cui sopra. Se negli Stati generali Conte ha trovato un filo d’Arianna per uscire da questo labirinto, per ora non si è visto.