Con L’emergenza che non c’è Action Aid e Open Polis passano sotto la lente d’ingrandimento il sistema di accoglienza italiano nel triennio 2018-2020. A una netta diminuzione delle presenze non è corrisposta la fine delle politiche emergenziali. Al contrario, i centri straordinari hanno acquisito maggiore peso specifico. Fabrizio Coresi è tra i curatori del rapporto, da cui è nato il sito centriditalia.it.

Gli sbarchi crescono ma dite che l’emergenza immigrazione non c’è.

Gli aumenti sono a partire dal calo drastico determinato dallo scellerato accordo con la Libia del 2017, di cui tutti conoscono il prezzo umano. Nel 2021 gli arrivi sono cresciuti ma non c’è paragone rispetto ai numeri del 2015. Anche allora il fenomeno era sostenibile per un continente come l’Europa, adesso ancora di più. In emergenza sono il sistema e le politiche di accoglienza, perché non pianifichiamo nulla dal 2016. Un’occasione persa.

Cosa è successo nel triennio analizzato?

In quel periodo si applicano i decreti sicurezza di Salvini e lo schema di capitolato associato, che dice come devono funzionare i centri di accoglienza straordinari (Cas). Quei provvedimenti ne hanno fatto una tappa obbligata per chi arriva in Italia, azzerando i servizi volti all’integrazione e facendo crescere marginalità sociale e condizioni di irregolarità. Colpito anche il sistema di accoglienza ordinario, che per legge è il principale, perché è stato riservato a chi ha già ottenuto l’asilo e ai minori non accompagnati. Così i comuni sono stati gravati dell’assenza di servizi nei Cas, mentre le persone accolte sono state parcheggiate in strutture che non accompagnano a percorsi di autonomia.

A livello di numeri?

Tra il 2018 e il 2020 le presenze complessive sono diminuite del 42%. I centri attivi del 25%. Nonostante questo, però, non si è usciti dall’emergenzialità. A fine 2020 ben 7 migranti su 10 erano nei Cas.

Dopo la revisione dei decreti sicurezza del governo Pd-5S cosa è cambiato?

Quella riforma reinserisce la necessità dei servizi di integrazione, ma rimane preponderante lo schema di accoglienza emergenziale. Nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati solo 30 milioni per i centri ordinari, quelli del Sistema accoglienza e integrazione (Sai, ex Sprar). In larga parte servono per gli afghani evacuati da Kabul. Non conosciamo ancora il decreto ministeriale che indicherà i dettagli di funzionamento, ma manca una spinta forte per l’accoglienza diffusa. Rimane poi la struttura bipartita che prevede i servizi base per i richiedenti asilo e quelli di integrazione solo per i rifugiati. Un errore: ormai sappiamo che i servizi funzionano meglio se vengono garantiti a tutti da subito. Bisogna evitare scelte politiche basate sulla propaganda e attenersi a quello che dicono analisi e studi.

Le istituzioni li usano per capire cosa funziona e cosa no?

Non in modo organico. Il nostro studio copre un buco informativo. Le valutazioni sullo stato del sistema di accoglienza sono basate su una relazione che dovrebbe essere presentata al parlamento ogni anno entro il 30 giugno. L’ultima che è stata pubblicata è sui dati del 2019.