La letteratura schiude mondi nuovi: si sa. A volte è proprio un surrogato del viaggio.

E allora per farsi un’idea di com’è la chirurgia plastica in Corea del Sud basta leggere il racconto Che cosa ci fa un morto nell’ascensore? di Kim Young-Ha (trad. it. Imsuk Jung, O Barra O, 2009).
Nel racconto succede che un uomo ha una giornata maledetta. Tutto inizia con un dettaglio: un rasoio che si spezza e metà faccia che rimane marchiata dai peli della notte.

È la prima maledizione, quella che si trascina dietro tutte le altre, sempre più astiose e beffarde. Tra cui quella di rimanere incastrato in ascensore con una donna dai tacchi affilati e la durezza negli occhi, che riesce a trovare una via d’uscita per sé ma poi non chiama soccorso per lui.
La donna è fasciata di pizzo costoso e indifferenza, e quell’indifferenza potenzialmente letale è una reazione di fronte all’aspetto sbagliato dell’uomo. La maledizione del protagonista è allora quella del corpo imperfetto, del dettaglio fuori posto: che ti fa reietto.

La Corea del Sud è il paese con il numero più alto al mondo di interventi di chirurgia plastica. I tunnel della metropolitana, le sale d’attesa dei dentisti e i bagni dell’università sono foderati di manifesti che promettono miracoli per l’epidermide e l’ossatura.

Gli interventi più richiesti sono quelli alle palpebre. Avere la doppia palpebra, cioè la pelle sopra l’iride increspata di una piega tremula che rende l’occhio più largo e profondo, ti catapulta dentro il trittico dorato che tutti sognano: lavoro, matrimonio, rispetto.
Sono cose importanti, ovunque ma specialmente in Corea. Essere belli per trovare lavoro, belli per diventare di qualcuno sposi, belli per ottenere rispetto. Rispetto, ma a volte anche – drammaticamente – dignità. E allora quel che accade nel racconto di Kim Young-ha adesso si capisce meglio.

Che una persona sia indifferente alla tua vita perché sei brutto o semplicemente trasandato non è qualcosa di surreale. Come non è surreale che gli studenti ricevano per regalo di laurea un soggiorno sotto i ferri del chirurgo. Non è surreale no, perché essere belli ti dà lavoro, te lo dà più facilmente, anche se la disoccupazione giovanile è una piaga anche lì ormai.

Qual è la caratteristica fondamentale per trovare lavoro in Corea? – ho chiesto una volta agli studenti dell’università coreana dove insegnavo italiano.

Gli studenti non erano tutti d’accordo, ma una top ten approssimativa siamo riusciti comunque a stilarla. Che cosa occupasse il primo posto era prevedibile: in tempi di disoccupazione esponenziale il lavoro bisogna inventarselo con una vulcanica «creatività». Ma al secondo posto c’era lei: la bellezza.

E la bellezza non è innata, non è solo inscritta nella grazia dell’andatura e nel grado di malizia delle ciglia. La bellezza si può comprare: basta andare dal chirurgo.

In Corea non è per niente costoso e infatti si è sviluppato un turismo speciale, con uno sciame di aerei che arrivano da tutto il resto del sud-est asiatico, ma non solo da lì ormai. Perché la maestria dei chirurghi coreani sta diventando sempre più universalmente nota.

Molte mie studentesse avevano le doppie palpebre. Vedere tante facce che mi fissavano con gli occhi sgranati mi riempiva d’orgoglio, pensavo che le mie parole fossero scintillanti nonostante l’interdizione alla metafora, mi illudevo che l’aula fosse tutta un fremito di adorazione.

La verità era che la maggior parte di queste ragazze non aveva più mobilità palpebrale e non poteva far altro che sgranare gli occhi e tenere la boccetta di collirio sul banco.

Un altro intervento molto gettonato in Corea del Sud è quello alla mascella. Pare che in origine fosse richiesto per scopi correttivi, per arginare la prominenza eccessiva del mento, ma l’estetica è diventata oggi predominante.

L’ambizione è quella di raggiungere la perfezione triangolare di un viso affilato, un viso che culmini in un mento non più sgradevole e volitivo, ma che sfugge acerbo e ritroso e che dunque è riuscito nell’impossibile: incarnare il mistero.