Scese in piazza più volte contro lo Spy Cam Porn (la pratica di filmare le donne di nascosto e diffondere le immagini sui siti porno), le femministe sudcoreane – fra quelle che hanno risposto con maggior forza all’«appello» di #metoo – sono in lotta anche per la depenalizzazione dell’aborto nel Paese, una battaglia che ha preso vigore lo scorso luglio, quando era atteso un pronunciamento della Corte Costituzionale sul caso di un medico perseguito per aver praticato oltre 70 interruzioni di gravidanza. Le donne riunitesi a manifestare nella Gwanghwamun plaza di Seul speravano che potesse essere l’occasione per rimettere in discussione il divieto – ma la deliberazione è stata rimandata indefinitamente per le lotte politiche sulla nomina dei giudici.

LA LEGGE che vieta l’interruzione di gravidanza in Corea del Sud – che minaccia le donne con pene fino a un anno di carcere – risale al 1953, ma nel corso dei decenni centinaia di migliaia di aborti clandestini sono stati «ignorati» dalle autorità, che hanno preferito soprassedere su una pratica diffusissima nonostante il divieto. Una statistica governativa (ritenuta molto al ribasso) risalente al 2010 parla di 169.000 aborti in quell’anno, circa 16 ogni 1000 persone, ed evidenzia come proprio la Corea del Sud, dove è ancora in vigore una normativa così medievale sull’interruzione di gravidanza, abbia una delle percentuali di aborto più alte fra i principali Paesi industrializzati.

La legge è attaccata da moltissime donne, attivisti, medici e studiosi del Paese in quanto viola il diritto umano di poter decidere del proprio corpo, con l’aggravante che anche quando l’aborto è consentito – in caso di stupro o di coppie con malattie ereditarie – la decisione spetta comunque al marito o al partner.

ED È STATO proprio il governo progressista di Moon Jae-in a rinforzare ad agosto la legge sull’aborto, prevedendo pene più dure per i medici che lo praticano: oltre a due anni di carcere la radiazione dall’albo per un per un mese anche in assenza di condanna. Una mossa che tradisce la preoccupazione per il drastico calo delle nascite in Corea del Sud, e la considerazione della donna solo in virtù della sua fertilità.