La corposa selezione del Far East Film Festival di Udine, giunto alla diciottesima edizione, ci permette come ogni anno di ragionare (anche) sui numeri del cinema asiatico. Anzi, sulle quote, termine probabilmente più appropriato per l’industria cinematografica della Corea del Sud. Partiamo quindi da un mero dato, dal numero delle pellicole sudcoreane presenti al FEFF 2016: sono quattordici, due più della Cina e tre più del Giappone, gli altri colossi della kermesse friulana e del cinema asiatico. Focalizzandoci sui numeri, è significativa per la storia del Far East, nato nel 1999 in seguito al successo della retrospettiva «Hong Kong Film» (1998), la presenza dei film hongkonghesi: sei pellicole (due coprodotte con la Cina). Solo sei. Questa vistosa differenza, il divario tra i quattordici film sudcoreani e le sei pellicole di Hong Kong, sottolinea la straordinaria crescita dell’industria cinematografica sudcoreana, che nel corso degli anni ha cannibalizzato parte del mercato ma anche dell’immaginario cinefilo. Una sorta di passaggio di testimone, nonostante l’amore incondizionato che lega il FEFF e i suoi spettatori ai noir, alle commedie, ai wuxia e ai gongfupian hongkonghesi – dopo la travolgente presenza di Jackie Chan della scorsa edizione, è atteso per il FEFF 18 Sammo Hung, altra icona del cinema di arti marziali.

Ma più che sui nomi e sui volti, il cinema sudcoreano ha edificato le proprie fondamenta sull’elevato standard qualitativo, non dissimile da quello hollywoodiano, e sull’ampio ventaglio dei generi: tra le quattordici pellicole selezionate dal FEFF troviamo thriller, film di guerra, pellicole in costume, storie sportive, drammi, horror, commedie. L’apertura ufficiale del Far East 2016 parla coreano, e anche un po’ giapponese. The Tiger di Park Hoon-jung, regista e sceneggiatore già apprezzato a Udine per The Showdown (2011) e soprattutto per New World (2013), è un blockbuster ambizioso, dall’utilizzo della computer grafica per ricreare una maestosa tigre di montagna alla lunga durata, quasi due ore e mezza, fino all’affresco storico e metaforico. Un film che mescola azione, grandi scenari naturali, occupazione nipponica e il talento di Choi Min-sik (Oldboy, Lady Vendetta), attore dalla presenza magnetica, totalizzante.

The Tiger è un buon ambasciatore dell’industria sudcoreana, attenta al cinema autoriale, ma interessata soprattutto al box office, al pubblico giovane, ai mercati internazionali. Una Hollywood orientale che dopo una lunga serie di alti e bassi, di periodi d’oro e di profonde crisi, ha avuto la forza di incanalare e mantenere viva la straripante New Wave della fine degli anni Novanta. Un’onda lunga che da Shiri (1999) di Kang Je-kyu, considerato il punto di partenza del rinnovato cinema coreano, è arrivata fino a The Tiger, ad Assassination di Choi Dong-hoon – ancora l’occupazione giapponese in un mix tra dramma storico, intrighi da spy story e suggestioni da spaghetti western – e all’horror The Silenced di Lee Hae-young. Ecco, l’horror sudcoreano, che per alcuni anni ha scimmiottato il J-Horror e che adesso sembra riprendere quota: oltre a The Silenced, ambientato negli anni Trenta in un inquietante collegio femminile, segnaliamo The Priests di Jang Jae-hyun, storia di possessioni ed esorcismi che aprirà l’horror day del FEFF 2016, giornata/maratona con sette film per gli amanti del brivido.

L’industria sudcoreana, oramai lontanissima dai mesti tempi dei quota quickies realizzati in fretta e furia, riesce a raccontare anche intrecci sentimentali, atmosfere minimaliste: il dramma della gelosia in A Break Alone di Cho Jae-hyun, tra passioni, ossessioni e tradimenti; i primi turbamenti in The World of Us di Yoon Ga-eun, con la macchina da presa che si abbassa ad altezza di bambino per catturare i sussulti e le emozioni della undicenne Seon-yi; l’incontro apparentemente impossibile tra la fredda tecnologia e la disperazione di un genitore in Sori – Voice From The Heart di Lee Ho-jae. Tra le altre pellicole della la pattuglia coreana, segnaliamo The Exclusive – Beat the Devil’s Tattoo di Roh Deok, thriller incentrato su un giornalista e un serial killer; il psycho thriller Fatal Intuition di Yun Jun-hyung; Inside Men di Woo Min-Ho, sulla corruzione dilagante e senza freni del mondo politico; la leggiadra commedia familiare dai risvolti fantastici Wonderful Nightmare di Kang Hyo-jin e il film sportivo Fourth Place di Jung Ji-woo, sull’esasperata competizione e pressione che stritola studenti, lavoratori e atleti nella società sudcoreana – tema affrontato anche dal documentario Reach for the Sky diretto da Choi Woo-young e Steven Dhoedt, coprodotto da Belgio e Corea del Sud. Storie, drammi, commedie, lacrime e risate. Brividi e salti sulla poltrona. E numeri, quote. Il segreto del cinema sudcoreano, di questa New Wave che continua a scorrere, è fatto di programmazione e talento, di arte e di industria. Film d’autore e di cassetta, per adulti e per bambini, che cercano, trovano e fidelizzano un pubblico sempre più vasto.