Pronti a dare una lezione agli Stati uniti: è il messaggio inviato ieri dal ministro degli esteri nordcoreano Ri Yong Ho, dopo le nuove sanzioni introdotte dalle Nazioni Unite sabato, in risposta agli ultimi due lanci di missili balistici da parte di Pyongyang.

«A causa del comportamento arbitrario degli Stati uniti, la situazione nella penisola coreana sta diventando estrema con il crescente pericolo di un conflitto – ha continuato – Siamo una potenza nucleare responsabile e non intendiamo minacciare o usare le nostre armi nucleari contro altri paesi che gli Stati uniti, a meno che altri paesi si uniscano alle azioni militari americane contro la Corea del Nord».

In ogni caso, ha concluso, Pyongyang non intende in alcun modo negoziare il proprio programma nucleare «di deterrenza».

Gli occhi a questo punto tornano a puntarsi sulla Cina, da mesi stretta in mezzo alla guerra fredda tra la Corea del Nord e gli Usa di Trump: le nuove sanzioni – proposte da Washington e votate all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, dunque anche da Pechino – colpiscono duramente le esportazioni nordcoreane di minerali, carbone e pesce.

Un miliardo di dollari su tre, è il valore preventivato della perdita per Pyongyang. E, guardando ai numeri, la Cina (il più stretto alleato) fa la parte del leone: l’85% dei prodotti importati in Corea del Nord sono cinesi e l’83% di quelli esportati sono diretti a Pechino.

Le minacce di ieri sono partite da Manila dove è riunito il summit dell’Asean (Associazione delle nazioni sud est asiatiche). Presenti anche il segretario di Stato Usa Tillerson – che ha discusso della questione in una telefonata di oltre un’ora con Trump – e il ministro degli esteri russo Lavrov.

Il rappresentante di Mosca ha incontrato Ri Yong-ho e invitato tutte le parti coinvolte a «evitare l’uso della forza» e a preferire la diplomazia.