De-deputato. Dopo aver accettato a mandibole serrate la riammissione del suo predecessore Jeremy Corbyn nel partito laburista piegandosi al responso del Comitato esecutivo nazionale (Nec), il leader Keir Starmer ha deciso di non riammetterlo comunque nel gruppo parlamentare. Per ora Corbyn dovrà sedere in aula da indipendente. Starmer «manterrà la situazione sott’occhio».

La decisione è arrivata con l’oro in bocca del mattino di ieri, dopo che i cinque membri giudicanti del Nec avevano riammesso Corbyn – sospeso venti giorni fa – nel partito. Un verdetto che aveva rinnovellato l’onda non anomala di sdegno delle molteplici associazioni laburiste moderate filo-Israele che vedono in Netanyahu un fiero baluardo di illuministica tolleranza e in Corbyn un inveterato antisemita.

Così, Starmer – che oltre alla fiducia di suddette associazioni sta faticosamente recuperando le donazioni di privati imprenditori che si erano dati alla fuga durante il massimalistico terrore corbyniano – è prontamente tornato all’azione: e gli ha tolto la frusta. Sì, in una monarchia parlamentare post-feudale immaginata a guisa di caccia alla volpe, estromettere qualcuno dall’aula si dice removing the whip. Togliergli, appunto, la frusta: come a chi, durante una battuta, ha il compito di impedire ai cani di allontanarsi dal branco.

Ma anche tralasciando l’analogia fra i parlamentari e i cani – che trasuda monarchico disprezzo – e la visione hobbesiana di un mondo diviso fra domatori e domati, resta il fatto che con questa decisione Starmer abbia gettato altra diavolina nella guerra civile che avvampa tra il centrodestra post blairiano e i corbyniani, definiti come sinistra “radicale” benché propugnatori di una cauta socialdemocrazia. Il risultato è un bailamme di accuse reciproche su interferenze “politiche” nelle procedure disciplinari interne, come dell’uso politico di queste ultime. Fin qui, nulla da eccepire: nella riscrittura della storia di questo partito richiesta dalla sua normalizzazione, il corbynismo viene naturalmente inquadrato a tutti i costi come un’odiosa aberrazione.

Ma non sarà rimosso facilmente. Nelle ultime elezioni del Nec, l’esecutivo nazionale, i candidati di destra e sinistra sono arrivati pressoché ex-æquo.

Il pasticciaccio brutto del Labour, che ha visto Jeremy Corbyn sospeso venti giorni fa dopo le dichiarazioni di quest’ultimo sul rapporto sull’antisemitismo nel partito condotto dall’indipendente Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani (Ehrc) continua insomma a lievitare nel forno di “Sir” Keir. Il quale non ha mosso un dito per investigare i livelli di razzismo e islamofobia nel suo partito, ha gravemente ignorato un movimento come Black Lives Matter, ma agisce con zelo nel punire il suo compagno ex-leader di cui era ministro-ombra per Brexit fino allo scorso aprile. Corbyn era stato sospeso per aver definito l’esito dell’inchiesta «drammaticamente esagerato per ragioni politiche» e per non aver ritrattato la dichiarazione, né tantomeno chiesto scusa. Ma ieri aveva si era corretto: «Quello che volevo dire è che la vasta maggioranza dei membri del partito sono e rimangono antirazzisti convinti e fortemente contrari all’antisemitismo».

Ma tant’è. A rendere Corbyn un alieno sono il suo antimperialismo, il suo pacifismo, la sua difesa della causa irlandese e palestinese, roba venusiana a Westminster e nel Labour stesso. È rimasto iscritto a questo pantomimico partito per mezzo secolo, sette mesi fa ancora lo dirigeva, è stato regolarmente eletto deputato. Su Haaretz, nell’agosto 2018, Gideon Levy aveva inquadrato bene il problema: «Mentre la situazione di qualsiasi ebreo in Gran Bretagna è migliore, più sicura, più egualitaria e più libera della condizione di qualsiasi cittadino arabo in Israele, per non parlare dei palestinesi nei territori occupati, il disperato grido d’aiuto dell’establishment ebraico ha sollevato un tumulto e un trambusto contro Corbyn». Un partito che epura l’unico proprio leader moralmente decente e capace di superare le sacrosante diffidenze soprattutto dei giovani nei confronti della politica politicante quando il vero razzista sta a Downing Street: è questo il New New Labour di Keir Starmer.