Il giorno dopo la legnata elettorale delle amministrative, che ha visto il partito laburista perdere circa 350 seggi consiliari contro un + 500 dei Tories, è già ricominciata la campagna per le prossime politiche dell’8 di giugno. Corbyn ieri era a Leicester, cercando di scacciare l’idea che queste local elections non siano state che l’assaggio di una prossima sconfitta, tanto più grande da rispedire il partito ai minimi storici degli anni Ottanta.

Il tono era combattivo. Il divario con i Tories non è grande quanto i sondaggisti andavano ripetendo. Il partito ha di fronte una sfida enorme, ha detto Corbyn, ma anche «L’opportunità di liberarci…di creare una società in cui nessuno è escluso e creare una Gran Bretagna per i molti, non i pochi». Il manifesto del partito sarà pubblicato il prossimo 16 maggio, John McDonnell – secondo il Guardian – assumerà nei prossimi giorni un ruolo più di primo piano nell’enunciare i punti chiave del documento.

L’obbligatorio esercizio del guardare il bicchiere mezzo pieno è difficile. Quasi impossibile quando non è nemmeno mezzo pieno. Il risultato è un chiaro incubo, in cui i Tories hanno vampirizzato le vene dell’Ukip e in più hanno preso molti voti labour. Il blu ricopre la mappa del paese. Grazie all’uninominale secco, quel first past the post fatto per dare a chi vince poteri semidittatoriali – e per questo tanto ammirato dai moderati italiani come garanzia di governabilità – i Tories sono in corsa per diventare regime più che mai.

Certo, i metro mayors – speciali figure di sindaco introdotte per la prima volta come parte di un pacchetto di riforme di decentramento amministrativo – di Manchester e Liverpool sono rispettivamente i laburisti Andy Burnham e Steve Rotheram. E hanno vinto entrambi con maggioranze rotonde, 63 e 59%. L’afflusso alle urne, come tutte le amministrative, è stato abbastanza basso. In Galles le cose non sono andate male come si temeva. Ma questo non è un voto qualsiasi, con un paese attraversato dalla duplice faglia Brexit/indipendenza scozzese. In tempi normali, il partito al governo le amministrative le avrebbe perse. Mentre in quest’Inghilterra del nazionalismo in ripresa, è Theresa May fasciata nell’Union Jack all’offensiva contro l’invincibile armata di Bruxelles a commuovere.

In un paese la cui storia moderna è segnata dall’attrazione-repulsione nei confronti del «continente», si sta diffondendo un’aria di diffidenza. I Tories, a loro volta ostaggio della loro devastante destra euroscettica, ci vanno a nozze. Questo spiega l’obliterazione dell’Ukip, ora inservibile dopo aver regalato al paese quel biglietto di sola uscita che è Brexit. Stessa cosa in Scozia, dove lo strapotere Snp si vede avversato dai Tories che raccolgono l’unionismo in ripresa spingendo il Labour (in Scozia!) in terza posizione.

La liberal left strilla che è colpa di Corbyn, obliosa sia di aver contribuito allo stato presente con due tentati golpe falliti per la segreteria, sia della preziosa mano data alla stampa tory nella sistematica distruzione cui il leader laburista è sottoposto da settimane. Ci sono pressioni perché il Labour si allei con i verdi o magari con il Snp, spingendo i propri elettori a votare tatticamente. Ma è evidente che l’unica chance per riuscire a risalire la china di questi risultati è quella di portare avanti programmi di riforme radicali che smantellino questo sistema. Anziché plaudere ai moderati invano, mobilitare quelli che non hanno mai creduto nel voto. Forse questo porterebbe un finale alternativo a quello, già scritto, del prossimo 8 giugno.