Prima bombardare, poi dibattere. È questa la nuova interpretazione che ha dato Theresa May, nella seduta parlamentare di ieri, della costituzione nazionale. Che se è non scritta è proprio perché torna utile, soprattutto in casi simili.

May era attesa in aula per rendere conto di come mai sabato scorso si sia unita agli Stranamore Trump & Macron nel bombardamento dimostrativo – leggasi inutile – delle scorte di armi chimiche del carnezziere Assad. Un bombardamento che rischia di essere il primo di molti altri, che lei ha autorizzato quatta quatta mentre i deputati erano ancora in pausa pasquale e che le è valso un diluvio di critiche, nel suo stesso partito.E ha squadernato il proprio carnet di motivazioni, tutte volte a minimizzare, se non a negare, l’imbarazzante asservimento della madre di tutti i parlamenti a Trump, il pistolero.

Con la piatta diligenza da scolara modello che la contraddistingue, May ha ripetuto fino alla nausea che la base legale dell’intervento era «umanitaria» – passe-partout amorale con cui l’Occidente democratico etichetta le migliaia di bombe sganciate in Medioriente come in Kosovo, e che ogni iniziativa di intervento negoziale era già stata bollata dal veto russo. «Il nostro non è stato un intervento nella guerra civile o un’operazione di regime change. Ho parlato con Merkel, Gentiloni (!), Trudeau, Tusk», ha aggiunto la leader britannica, «non possiamo certo permettere che l’uso di armi chimiche dilaghi».

Infine la perla rivelatrice che ridicolizza la credibilità di qualunque iniziativa presa nel nome della segretezza: le prove della necessità del nostro intervento non ve le ho sottoposte perché erano… riservate, ha detto May ai deputati, rendendo en passant involontario omaggio a quel concitoyen di Macron, La Palice. Non agiamo che nel nostro interesse nazionale, altro che prendere ordini dagli Stati Uniti, ha poi concluso, rispondendo all’accusa dell’unbritish Corbyn.

Già, Corbyn. Quanto paiono lontani i bei tempi in cui il leader dell’opposizione, quel tal Blair, sbavava alla vista di un arsenale ancor più del suo avversario Tory, geneticamente militarista. In maniera imperdonabilmente civile e sommessa, Corbyn ha ribattuto che c’è bisogno di una legge, il War Powers Act, che obblighi la consultazione del Parlamento in decisioni di carattere bellico, che la prima ministra deve rispondere all’aula e non ai capricci del presidente americano (riferendosi implicitamente a un editoriale di Polly Toynbee sul Guardian che la accusava della stessa cosa) e disputando il fondamento legale dell’intervento.

L’argomento più forte addotto dal leader dell’opposizione è stato citare le allegre vendite britanniche di armi ai sauditi, responsabili dell’immane catastrofe umanitaria in Yemen. Perché – ha chiesto – non interveniamo anche lì unilateralmente? Illuminando così la doppia morale del governo May.