Jeremy Corbyn è un po’ l’uomo che cadde su Westminster: un alieno colpevole di non avere nulla dell’arrogante accondiscendenza che scorre di solito tra quegli scranni – di cui Theresa May ha dato particolare sfoggio in queste ultime ore – e che per questo viene regolarmente sbeffeggiato.

Ma è qui che ha scelto di lanciare ieri la sua campagna elettorale, con una breve orazione da combattimento. Esattamente come se fosse in piazza, a una delle migliaia di manifestazioni alle quali ha partecipato nella sua lunga carriera politica.

Usando un linguaggio semplice ed efficace, si è scrollato di dosso il disagio carsico che affiora nei suoi interventi in aula. Soprattutto, è stato capace di trascinare, cosa impossibile a chiunque dei suoi innumerevoli detrattori nel partito. E per un attimo, figurarsi quest’uomo buono e onesto al numero dieci di Downing Street è parso addirittura possibile.

«LE LINEE DI DEMARCAZIONE di queste elezioni non potrebbero essere più chiare», ha esordito il segretario laburista. «Sono i conservatori, il partito del privilegio e dei più ricchi contro il partito laburista, il partito che difende i lavoratori per migliorare la vita di tutti». L’incipit ha segnato il tono del resto del discorso, sprezzante verso l’immobilismo moderato della componente parlamentare del partito che ha cercato due volte di farlo fuori.

«Gran parte dei media e dell’establishment dicono che queste elezioni hanno una fine già scritta», ha proseguito Corbyn, prima di vibrare una stilettata a tutta la socialdemocrazia europea dagli anni Ottanta: «Pensano che ci siano delle regole in politica, che se non segui scoprendoti il capo davanti ai potenti, accettando il fatto che le cose non possono cambiare, allora non puoi vincere».

NON GIOCHERÒ secondo le loro regole, né lo farà il partito se eletto al governo il prossimo 8 giugno: sono regole di ieri, fissate da un’elite politica e corporate che dovremmo consegnare al passato. Il loro, «È un sistema truccato, predisposto dagli estrattori di ricchezza per gli estrattori di ricchezza. Anziché nasconderla nei paradisi fiscali, la daremo al popolo che l’ha guadagnata».

COSE INAUDITE da quasi tutti i leader laburisti dal secondo dopoguerra, e forse nemmeno prima. Cartismo. Toni ur-socialisti che quasi tutti i commentatori, ricorrendo pigramente al prêt-à-parler, già si affannano a definire populisti. Ai centristi suonano come l’inizio di una crociata dei pezzenti che si avvia verso il massacro. Quelli che preferiscono veder perdere il proprio partito piuttosto che la propria fazione hanno abbandonato i propri seggi, altri continueranno a farlo.

«NON VI ARRABBIATE con i privatizzatori che fanno profitti con i nostri servizi pubblici, sussurrano (i conservatori): prendetevela piuttosto con il lavoratore migrante, soltanto alla ricerca di una vita migliore. Non prendetevela con i ministri di questo governo che lasciano andare in malora le nostre scuole e i nostri ospedali – ci dicono – ma con la disabile o con il disoccupato». E poi, una frase che rende particolarmente odioso il divario fra ricchi e poveri brevettato da questo paese, o dai suoi quattro milioni di bambini che vivono in povertà: «La Gran Bretagna è la sesta più ricca economia mondiale. Il popolo britannico deve poterla condividere».

UN UNICO RIFERIMENTO alla Brexit, (un secondo referendum è escluso) fa di questo discorso l’apertura di una campagna diametralmente opposta a quella di May, che ha puntato tutto sulla – pur cruciale – uscita dall’Ue. Ma una giustizia sociale che si fa attendere, qui come ovunque, si stramerita la precedenza.

Dunque un discorso barricadero e militante, perfetto per far inumidire gli occhi di vecchi compagni. Ma tutt’altro che naïf. Corbyn e i suoi sanno che la sua forza è fuori da Westminster, dove la decenza e immediatezza del personaggio risultano più che mai efficaci. Molto può succedere in queste settimane. Milioni di giovani con il futuro compromesso da decenni di estremo centro potrebbero decidere di agire politicamente per la prima volta nella loro vita. «Alle primarie ero dato 200 a 1 dagli allibratori» ha risposto in chiusura Corbyn a chi gli ha ricordato il punitivo distacco (dai 15 ai venti punti) dai Tories nei sondaggi.