Se non ci sono dubbi che quella di Corbyn è stata una vittoria della sinistra Labour, e molto sonante, è anche contemporaneamente vero che si è trattato di una vittoria di nuovo conio. Ciò oltrepassa ogni considerazione sui tratti, a volte ostentatamente “tradizionali”, che il vincitore ha voluto trasmettere di sé.

Lo esprimono i numeri disaggregati della sua vittoria. Questa è stata nettissima fra gli iscritti, i cosiddetti “full members”: 121.751 per lui su 245.520, e più netta nella riformata sezione dei sindacati (gli “affiliati” tipici del modello organizzativo federativo): 41.217 su 71.546. Ma è fra i sostenitori, cioè per capirsi fra chi si iscrive direttamente alle primarie del leader, che il successo per Corbyn è stato più strepitoso: 88.449 su 105.598, superando di netto il 59 percento totale. Insomma, nelle due sezioni di voto più “tradizionalmente” inserite nel gioco partitico, Corbyn ha totalizzato meno che in quella “nuova”. A paragone, Ed Milliband, che pur rompendo con il New Labour rappresentava comunque parte delle sua storia (cioè la corrente di Gordon Brown) vinse (di pochissimo) solo grazie all’apporto che i sindacati gli avevano garantito.

Interessante dettaglio: quel voto dei sindacalizzati per Ed Milliband era ancora piuttosto condizionato dall’influenza diretta dei vertici delle categorie, che assieme alle schede elettorali inviavano agli iscritti la propaganda per Ed. Questi iscritti decidevano già nel 2010 autonomamente, non erano più passivi nel “blocco” che i boss sindacali un tempo decidevano su chi collocare nel partito.

Tuttavia non erano ancora, come con la più recente riforma, del tutto liberi, oltre che di iscriversi a un sindacato affiliato, di pagare personalmente una quota extra per partecipare alla vita del Labour. Corbyn, insomma, stravince proprio nelle quote e nelle tipologie di partecipazione più fortemente rinnovate dalle ultimissime autoriforme. Beffando ogni aspettativa di molti che le avevano introdotte. Questo, per quanto ci riguarda, sia nel caso di Milliband nel 2010, sia forse ancora di più in quello di Corbyn, parla a noi sinistra italiana confermando che non tutte le autoriforme, e non tutte le “primarie”, sono uguali.

Dovrebbe capirlo la sinistra italiana, anche radicale: l’apertura all’esterno non può, non deve tradursi in dissolvimento nella pura liquidità leaderistica. Può essere e va mantenuto originalmente un rapporto fra funzione sociale storica del partito, affiliazioni con una propria autonomia e accesso aperto.

Nel caso di Corbyn la liceità ancora reclamata di essere il partito di riferimento del lavoro ha innescato una determinazione progredita a valanga in proporzione all’apertura di ogni specifica sezione di votanti. Ma cosa cosa può avere sospinto la vittoria di Corbyn?

A quanto pare è stato vincente il richiamo non già ad una tradizione passata, ma alla reinvenzione di una funziona smarrita. Moltissimi hanno analizzato la sconfitta elettorale di maggio in modo diverso del semplicistico “o Blair o disfatta”, del tutto infondato nei numeri elettorali. Da un lato, per esempio, il cambiamento, pur sensibile, di Ed Milliband nei confronti dei “blairiti”, aveva mantenuto per molti una modalità “presidenzialistica”, professionale e fredda nell’approccio. Dall’altro, pur nel suo nuovo corso, Ed non aveva difeso abbastanza, del Labour al governo, proprio la fase post-2007 di Brown: quella in cui l’intervento pubblico in deficit aveva salvato l’economia sequestrata dal debito iperfinanziarizzato. Così, non si è né difesa la competenza economica del partito nei seggi inglesi che potevano essere vinti “al centro”, né aperto una fase nuova post-austeritaria, come si chiedeva nella Scozia e nel Galles perduti.

Oggi, Corbyn propone tutt’altro che una leadership fredda, anche se si spera sia invece più che professionale. Propone misure, come il “quantitative easing del popolo”, ben più praticabili e realistiche, se appunto rigorosamente intese, di quanto possa apparire (in sostanza fare arrivare i flussi della banca centrale a chi li spende davvero nelle infrastrutture e nelle autonomie locali, nelle comunità, nel mondo dell’impresa cooperativa o nazionale).

Sono misure simili a quelle proposte anche dai vertici economici del sindacato tedesco, dettaglio potenzialmente non da poco. Certo, nemmeno con Corbyn verrà meno la necessità della soluzione praticabile, e anche del compromesso. Ma il compromesso è efficace davvero nella distinzione delle proprie ragioni, non nella loro estinzione. È presto per dire se Corbyn, fra cinque anni, potrà vincere davvero, e certo appare oggi molto difficile. Ma il popolo del Labour ha voluto dirlo chiaro: le nostre ragioni, le nostre funzioni storiche per la democrazia inglese, scozzese ed europea, intanto, vanno ricostruite.