Non so dove stava la felicità. Forse nell’aria. Forse in quella sensazione di libertà di amare, di imprecare, di zappare, di raccogliere e costruire. Il contadino non deve dimostrare niente a nessuno, solo a se stesso. Spende la vita facendo quello che deve fare, ma decide lui quando farlo. E se un giorno ha sbagliato qualcosa o non se la sente di fare un lavoro, non succede niente: la terra l’aiuta e l’aspetta».

ROMANIA
Questa frase è tratta dal romanzo L’imperatrice di Liliana Nechita dato alle stampe da Fve Editori (pp. 190, euro 15). Classe 1968, l’autrice è nata in Romania e da più di 15 anni vive in Italia. In queste pagine belle e dolorose racconta la sua terra, dove «il comunismo è un fantasma, una promessa non mantenuta». Nelle campagne i giovani uomini baciano le mani delle donne di famiglia per assicurarsi di non ricevere rimproveri. Madri e mogli tirano su case impastando calce e pittando muri. Così fa la matriarca Olga. Due mariti, cinque figli, è soprannominata ‘l’imperatrice’ dall’io narrante, la nuora Elena. Attorno a loro, tanti lasciano il paese per trasferirsi in Italia, sperando in una vita migliore. In esergo, la frase significativa «Un contadino è un tronco d’albero che può spostarsi» di Jules Renard. Raggiunta al telefono a Terni, dove lavora come badante, Liliana spiega: «La mia lotta personale è volta a far capire le difficili condizioni dei contadini. Vorrei accendere la luce su di loro, sul sudore della loro fronte, sulle mani annerite dal sole». Alla notizia di una segnalazione del suo romanzo su il manifesto, aggiunge: «Ho desiderato che fosse pubblicato anche in italiano dopo aver visto, nella mia patria, borghi abbandonati, anziani dimenticati nei vicoli, contadini che lasciano la loro terra perché non riescono a venderne i frutti. Ormai, l’agricoltura è industrializzata: andiamo tutti a fare la spesa al supermercato, ai contadini vengono imposti prezzi troppo bassi e vengono così condannati a morte».

UCRAINA
Sempre al femminile, sempre dall’Europa orientale, giungono le voci che compongono il volume collettaneo Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee pubblicato da Besa Muci (pp. 184, euro 15). Traduzione e curatela sono di Lorenzo Pompeo, che nell’introduzione ripercorre i divieti, lungo la Storia, di usare la lingua ucraina e precisa: «Quando ne fu finalmente permesso l’utilizzo, furono le donne a entrare prepotentemente nel processo di sviluppo della lingua e della cultura ucraina». Nei racconti di questo libro si sente l’urgenza di raccontare un vissuto e infatti l’elemento autobiografico è quasi sempre preponderante. Belle e dolorose le pagine di Jevhenija Kononenko dal titolo Il ritorno. Protagonista è Daryna, una donna di poco più di trent’anni. Torna in patria, due giorni in autobus durante i quali ha tempo per riflettere sul proprio passato, presente e futuro. È la prima volta che rientra, dopo tre anni di duro lavoro in un paesino sperduto della Germania senza alcuna giornata di riposo. Tre anni a correre dietro a tre piccoli ‘mostri’. La padrona di casa non vuole essere disturbata, il marito-padre è sempre fuori casa e quando rientra guarda film porno e – non si dice ma si legge tra le righe – chiede qualche ‘servizietto’ alla tata. In cambio, qualche biglietto da cento marchi. Daryna torna in Ucraina con migliaia di marchi cuciti nel reggiseno e nella sottogonna, con il desiderio di acquistare una casa tutta sua: la madre l’ha abbandonata da piccola, a crescerla è stata la nonna. Senonché, quelle banconote si riveleranno false, metafora di un Occidente che ti inganna.

TINA
Ancora al femminile, la biografia della fotografa Tina Modotti (1896-1942). Originaria di Udine, emigrata con la famiglia in Germania, operaia tessile, attrice di teatro, vedette del cinema, modella, fotografa, militante e agente segreto al servizio della causa comunista. Così la descrive Gérard Roero di Cortanze (traduzione dal francese di Chetro De Carolis, Elliot, pp. 308, euro 18,50) nel volume Io, Tina Modotti. Felice perché libera. Scorrevoli, queste pagine si leggono come un romanzo. L’autore descrive le tappe della vita di Tina Modotti: Udine, la Germania, la California, il Messico, Berlino, Mosca. E i tanti amori. Soffermandosi, alla fine, «sulle ondate di depressione improvvisa che la logorano, la distruggono. Si riprende sempre, ma finché durano non riesce a fare niente, non può pensare a niente. Sprofonda dentro di sé, sparisce, sommersa dalla tristezza». Come tante altre donne in gamba, ogni tanto anche Tina finiva in quel pozzo di cui scrisse Natalia Ginsburg. Leggendo la biografia viene voglia di vedere le sue foto. Il cofanetto Donne fotografe a cura di Clara Bouveresse e Sarah Moon pubblicato da contrasto (pp. 144 l’uno, euro 42) soddisfa questo desiderio, anche se parzialmente, perché a Modotti sono dedicate soltanto due pagine nel volume Pioniere 1851-1936. I successivi, Rivoluzionarie 1937-1970 e Visionarie 1970-2010, suscitano il desiderio di ulteriori viaggi al femminile.