Un nuovo tassello è stato posto nella notte tra venerdì e sabato nel fosco puzzle che dovrebbe comporre il nuovo diritto d’autore dell’Unione europea (andrà al voto del parlamento di Strasburgo nelle prossime settimane). La direttiva dovrebbe così mettere fine ai conflitti che hanno visto, nel corso degli anni, contrapposti eterogenei blocchi sociali e di interesse. Da una parte, i pasdaran della concezione della Rete come ambiente ideale per il business; dall’altra, i difensori di una frontiera che tuteli la libertà di navigazione o l’innovazione nel cyberspazio. Blocchi sociali e culturali opachi e vischiosi perché vedono la presenza di imprese editoriali che non nascondono la loro ostilità verso le piattaforme digitali, indifferenti alla tutela dello sfruttamento commerciale di articoli, brani musicali e film scaricati gratuitamente dal web. Sul fronte contrapposto ci sono però multinazionali come Facebook o Google, che hanno intonato litanie sulla libertà di accesso alla Rete per continuare ad appropriarsi dei dati individuali al fine di rimpinguare i loro Big Data che consentono di accumulare ingenti profitti dopo che sentimenti, informazioni e comunicazione individuali sono stati trasformati in merce.

L’ultima direttiva europea sul diritto d’autore risale al 2001. Diciotto anni sono da considerare una era geologica per un habitat velocemente mutante come quello del web. Per i tecnocrati di Bruxelles, la nuova direttiva esprime una risposta adeguata a tale mutamento e la capacità dell’Unione europea di esprimere una politica comune su argomenti importanti e centrali nell’«era dell’informazione», come è appunto il copyright.
A sostenere questa tesi, il vicepresidente della Commissione europea Andrus Ansip, che dimentica però di aggiungere che quella votata è una direttiva che ha fatto carta straccia di quel metodo informale della ricerca del consenso tra i paesi membri della Ue. A votare contro ci sono sette paesi, tra i quali l’Italia, che vede al governo il Movimento5stelle che, da sempre, ha considerato la bozza della direttiva espressione di una volontà liberticida della Commissione europea, nonché la sua subalternità alla old economy (industrie discografiche, cinematografiche e editoriali).

Dunque un voto a maggioranza spacciato come un buon compromesso, solo perché ha accolto alcune rivendicazioni dei rappresentanti tedeschi e francesi, da sempre uniti nel chiedere il rispetto di alcune norme del proprio e nazionale diritto d’autore. Maliziosamente, la nuova direttiva potrebbe essere il primo risultato del nuovo patto franco-tedesco, siglato nelle scorse settimane a Aquisgrana per rilanciare il progetto europeo. La nuova direttiva stabilisce infatti la possibilità di non rispettare quella per le start up che hanno fino a cinque milioni di contatti unici al mese (posizione della Germania) e prevede che gli autori debbanoessere retribuiti per l’uso dei loro contenuti da parte delle piattaforme digitali (posizione francese).

Il cuore pulsante sono due articoli, l’undicesimo e il tredicesimo: impongono alle piattaforme digitali di controllare le operazioni di chi accede ai loro server e sanzionare il comportamento se scaricano materiale coperto da copyright. Allo stesso tempo, stabilisce una logica premiale per quelle imprese che installano i costosissimi software che inibiscono il downloading per i contenuti sotto copyright. Due articoli che subordinano la libertà individuale alla logica del profitto e che trasforma i gestori delle piattaforme in poliziotti, con buona pace del rispetto della privacy individuale. Sono sì previste eccezioni a tutto ciò, ma sarà compito degli stati nazionali definirle.
Adesso la parola passa all’aula di Strasburgo, ultima trincea per evitare che la Rete sia considerata solo un habitat plasmato dalle regole del business.