Dopo un anno disastroso per la scuola come quello appena passato e nemmeno arrivati al rintocco della prima nuova campanella, i genitori che ieri sera hanno protestato davanti l’istituto comprensivo «De Amicis – San Francesco» di Francavilla Fontana (Brindisi) non sentivano certo la mancanza di un’altra terribile imposizione ai loro bimbi. Per varcare la soglia dell’anelata scuola, infatti la preside Adelaide D’Amelia ha imposto, agli studenti di elementari e medie, la divisa. Ma non il grembiulino che si usava negli anni Sessanta e Settanta per nascondere le differenze di ceto e aiutare l’integrazione, bensì pantaloni giacca e cravatta con logo per i maschi, gonna camiciola e collant per le femmine. Quando poi, alle proteste dei genitori la dirigente scolastica ha opposto le proprie motivazioni, ha mostrato in tutta la sua evidenza l’arretratezza culturale e l’inadeguatezza di alcune scuole nostrane.

«NON CONVENGO sulla pluralità di svantaggi nell’indossare la divisa», ha scritto la prof. D’Amelia in una lettera indirizzata l’11 settembre scorso ai genitori che avevano raccolto decine di firme contro la sua decisione e che ieri sono tornati a protestare, questa volta insieme ad associazioni e istituzioni locali varie. A parte i costi delle divise – circa 36 euro a testa – non esattamente quel che ci voleva all’inizio di un anno scolastico complicato come questo, e l’idea di far indossare dei collant alle bambine con temperature record come quelle registrate ancora ieri in Puglia, quello che le famiglie proprio (giustamente) non accettano ai nostri tempi è la distinzione sessista tra i bimbi.

Un’intenzione, questa, divenuta più chiara quando la preside, dopo aver rassicurato i genitori circa i costi delle divise che «saranno ammortizzati nel medio periodo, perché la gonna è lunga fino al ginocchio e ha l’elastico regolabile», i collant che «potranno essere sostituiti con calzettoni o calzini blu», e il logo sulle camicie dei maschietti di cui si potrà fare a meno, lasciando «solo quello sulle cravatte», ha spiegato alle famiglie che «quanto allo stereotipo di genere, ricordo che lo stesso ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, abbia emanato una direttiva nel 2017 invitando alla differenza di genere nel linguaggio giuridico della pubblica amministrazione».

Insomma: «L’uguaglianza formale e sostanziale tra le bambine e i bambini lascerà comprendere anche attraverso la gonna, indossata a scuola, che il corpo femminile richiede profondo rispetto e ossequio della sua dignità e personalità». «Voglio arrivare – ha concluso la dirigente – a che il maschietto dica alla femminuccia: copriti, c’è il vento, si può alzare la gonna».

«È UNA SCELTA assolutamente anacronistica – afferma la portavoce dei genitori della scuola primaria – totalmente contraria all’educazione che diamo ai nostri figli in merito alla parità di genere e di accesso al luogo scolastico».

Mentre Nicola Fratoianni, pugliese d’adozione, scrive su Facebook: «Sembra uno scherzo ma non lo è. #Uguaglianza significa dare a tutti le stesse possibilità, non uniformare, peraltro con una incredibile serie di stereotipi di genere. La #scuola deve educare alla differenza, alla libertà e al rispetto dell’Altro», continua il deputato di Leu augurandosi che il ministero dell’Istruzione convinca la preside «che così non si può fare». Anche l’Arcigay parla di «stantii stereotipi di genere» che pregiudicano «il ruolo educativo dell’istituzione scolastica».

Dalla loro parte si è schierato pure l’assessore comunale all’Istruzione e alle Pari opportunità di Francavilla, Sergio Tatarano, che avverte: «Sarebbe opportuno non ’incasellare’ le giovanissime generazioni in categorie precostituite, con tutte le intuitive e potenziali conseguenze negative sul naturale sviluppo di bambine e bambini».