Hayir, no. Al referendum di domani la comunità kurda si presenta compatta nonostante le enormi difficoltà a svolgere una normale campagna elettorale: un paese in stato di emergenza da nove mesi, migliaia di membri dei partiti kurdi e di sinistra dietro le sbarre accanto a semplici sostenitori, città sotto coprifuoco e mezzo milione di sfollati interni. E celle che continuano ad aprirsi per le leadership.

Ne abbiamo parlato con Yuksek Kamuran, co-leader del partito kurdo Dbp, condannato a fine marzo in contumacia a otto anni e nove mesi di prigione.

Due settimane fa è stato condannato a quasi 9 anni di carcere. Un altro attacco all’opposizione kurda? Il Dbp conta 3.850 membri in carcere, di cui 83 sindaci.

È solo l’ultima condanna. Ho già trascorso cinque mesi in prigione e un altro processo è in corso: rischio 21 anni. L’accusa è appartenenza ad associazione terroristica, strumento che stanno usando ampiamente per colpire noi come l’Hdp. Ma non ci arrendiamo, io personalmente tornerò in Turchia perché è il momento di lottare contro il regime.

La repressione ha inficiato sulla campagna elettorale per il no al referendum?

Dopo il golpe sono stati chiusi media e incarcerati giornalisti. I nostri partiti hanno subito attacchi a livello nazionale e locale: comuni commissariati, sindaci sospesi e migliaia di sostenitori e membri in prigione. È impossibile portare avanti una campagna elettorale serena. Dall’altra parte sappiamo quanto la questione sia sentita dalla comunità kurda [circa 20 milioni di persone, il 18-20% della popolazione, ndr] che farà sentire la sua voce. Erdogan la teme: anche i kurdi conservatori, in passato sostenitori dell’Akp, sanno quanto rischiano e voteranno no.

Se vincerà il sì al referendum, cosa potrà accadere con un uomo solo al comando?

Sicuramente la campagna anti-kurda si intensificherà. A rafforzarla è l’alleanza stipulata dall’Akp con il partito nazionalista Mhp, per natura contrario alle istanze democratiche kurde. Tutto finirà in mano ad un uomo solo, ogni potere istituzionale. Il nostro timore è quello di un’escalation della guerra ai kurdi. Che non è mai finita: in Turchia come nel nord della Siria, dove i cantoni di Cizre, Kobane e Jazira subiscono altre forme repressive.

Le operazioni di voto nel sud est turco potranno svolgersi normalmente? La campagna militare è ancora in piedi, come i coprifuoco.

La situazione è questa: intere comunità ancora sotto coprifuoco, quartieri inaccessibili perché chiusi dall’esercito e soprattutto mezzo milione di sfollati. È ovvio che il voto subirà le conseguenze dell’operazione militare tuttora attiva, ma siamo anche consapevoli della coscienza kurda: i kurdi sanno quanto questo voto sia centrale per la loro lotta e andranno in ogni modo a votare.

Nei mesi passati il governo turco ha presentato piani di ricostruzione, ma la comunità kurda ha espresso il forte timore di un’altra ondata di sfollamento e gentrificazione.

Il governo promette di ricostruire ma ancora non lo ha fatto. Noi vogliamo ricostruire da soli per evitare che quel processo divenga strumento di ulteriore sfollamento e allontanamento della nostra comunità dai centri kurdi. Ad oggi, nonostante i nostri tentativi, il governo ci impedisce di ricostruire le case. A Sur e Diyarbakir l’obiettivo è chiaro: Ankara vuole farne un centro turistico da affidare alla gestione del circolo di Erdogan, per toglierlo alla comunità kurda e sfruttarne le potenzialità. Vogliono trasformare Sur in un loro sito turistico attraverso una ricostruzione militarizzata.

A fine marzo a Bruxelles alcuni kurdi che stavano andando a votare in consolato sono stati aggrediti da sostenitori dell’Akp. Si sono registrati altri fatti simili?

Tre kurdi sono stati seriamente feriti da coltelli. Si è trattato di un attacco perpetrato da soggetti vicini a Erdogan, personaggi noti. Per questo vanno fermati prima: le istituzioni di quei paesi devono garantire lo svolgimento corretto del voto all’estero. Erdogan sta esportando i suoi metodi fuori, le pratiche di intimidazione usate in Turchia vengono riproposte all’estero.

Esiste nella società post-golpe un’opposizione reale oltre ai partiti Hdp e Dbp? Lo spirito di Gezi Park esiste ancora?

Un’opposizione esiste, sono i gruppi che fecero rete a Gezi Park e con cui abbiamo contatti continui. Lavoriamo insieme, una parte della società è ancora attiva contro Erdogan.