Stereotipi sull’evoluzione sociale del ruolo della donna li abbiamo imparati a scuola: le greche furono meno libere delle romane; l’Etruria concesse sprazzi di emancipazione femminile, rari nel mondo antico. Il nozionismo funziona a singhiozzo, eppure possiede il pregio di aiutare la memoria a interiorizzare la cultura, trasformando il mito nella psicoanalisi della storia, avvicinata sorniona al presente. Le profonde analisi storiografiche sull’epoca augustea hanno spinto sullo sfondo il racconto delle universali passioni umane, che mossero i suoi protagonisti.

Ben vengano quindi libri di facile e stimolante lettura, che spolverano vicende dimenticate per restaurare il colore delle nostre conoscenze. Le donne di Augusto di Marisa Ranieri Panetta (Electa, pp.64, ill. 40, euro 18) narra con leggerezza le vite delle due donne centrali nella biografia dell’inventore dell’Impero: Livia la pia e Giulia l’adultera. Exempla opposti: il primo da glorificare, il secondo da dannare.

La narrazione è accompagnata dalla descrizione dei luoghi cari alle due, le cui migliori tracce possiamo ammirare nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo: il giardino affrescato proveniente dal triclinio seminterrato della Villa di Livia a Prima Porta; i dipinti della Villa della Farnesina, dove Giulia visse con Agrippa.

Poesie inedite di José Minervini restituiscono al lettore scene di vita intima, calda, femminile. Livia la salutista che con le erbe dell’orto prepara tisane e medicamenti, ispirata dall’«esametro del prato» degli affreschi. Giulia che cerca conforto nel «giardino fantastico» dipinto nella dimora immersa nel verde e affacciata sulla riva del fiume, preludio liquido alla «spiaggia di pietre e di conchiglie di Ventotene».

Luoghi ameni concepiti per rappresentare la dedala terra, prima della perdita di quell’innocenza cui perfino il papa ha accennato, senza approfondire, nell’enciclica Laudato si’: «il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura».

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Giulia, amata dal popolo, ha vissuto momenti di gloria e drammi lancinanti. L’immagine della coppia regale, nel vangelo secondo Augusto, aveva il compito di diffondere l’ideale del cittadino perfetto tra i sudditi. La figlia fu per lui un banco di prova. La diede fanciulla in sposa al valoroso Marcello, destinato al trono. La ragazza avrebbe potuto trovare un amore da favola, se solo lui avesse rotto il fato crudele: si qua fata aspera rumpas.

L’imperatore scelse quindi Marco Vipsanio Agrippa, costruttore del Pantheon e trionfatore di Azio. In qualche modo l’ammiraglio, con il doppio degli anni, Giulia dovette amarlo. Scomparso poi il secondo genero, il princeps volle combinare alla principessa un matrimonio con lo scontroso Tiberio. I due non si piacquero mai. Dopo la morte dell’unico figlio, lui l’abbandonò e si ritirò a Rodi. Allora, la vita di lei virò decisa dalla commedia alla tragedia.

Divenne intima di Iullo, il figlio di Marco Antonio, riproponendo inconsciamente la coppia negativa per eccellenza: quella costruita dal rivale di Ottaviano con Cleopatra. Giulia forse voleva semplicemente divertirsi: godere di un lusso orientale, dato che nelle sue mani la ricchezza abbondava. Non morire dea in virtù di una buona condotta morale, ma divinamente vivere.

Lavorava sì la lana, come racconta Macrobio, ma amava la letteratura: il superfluo. In politica, si avvicinò alle istanze popolari, disposta com’era a elargizioni per ingraziarsi la plebe, sognando un governo autocratico dal volto ellenista contro l’irreggimentazione morale di chi voleva controllare le masse fin dentro casa. Finì che, scoperta nel 2 a.C. una congiura anti-imperiale, Augusto sentenziò che a organizzarla fossero stati presunti amanti della figlia.

L’accusò seduta stante di adulterio e, incurante delle proteste popolari, la mandò in esilio a Ventotene, per un lustro. Si spense sedici anni dopo a Reggio Calabria, di inedia. Il padre, prima di morire, nello stesso 14 d.C., aveva avuto il tempo di decretare che le sue spoglie non fossero accolte nel mausoleo di famiglia, inaugurato per ironia della sorte con la sepoltura di Marcello.

Velleio Patercolo, Seneca, Plinio non hanno nemmeno provato a mascherare la propria misoginia, riservata soprattutto alla donna di potere sprovvista di pietas. Non è un caso che Giulia venga attaccata proprio nella morale. Le uniche donne che escono indenni dalle reprimenda maschili sono paradossalmente quelle con atteggiamenti virili, come Clelia: la vergine consegnata dai romani a Porsenna, capace di scappare dall’accampamento etrusco attraversando il Tevere a nuoto.

Fa eccezione, tra le potenti, l’augusta Livia. Machiavellica. Sopportò tanto per continuare a essere la consorte di Augusto, ma tanto riuscì anche a imporgli.

Le storie di Giulia e Livia si intrecciano già segnate. Livia Drusilla conobbe Ottaviano diciottenne. Lei aveva già avuto dal marito il primo figlio, Tiberio, e era incinta di Druso. Lui, sposato in seconde nozze con Scribonia, divorziò nello stesso giorno in cui la moglie dava alla luce Giulia. Druso nacque il 14 gennaio del 38 a.C.; Livia e Ottaviano contrassero matrimonio tre giorni dopo. Rimasero uniti per 52 anni. La sfortuna della più giovane iniziò con il successo della più anziana. Tiberio entrò nella famiglia imperiale sposando Giulia, e divenne principe dopo la morte dei suoi figli Gaio e Lucio.

Fu il trionfo di Livia, che vinse definitivamente nel campo in cui la figliastra aveva fallito: la vita privata. Tessitrice di maglie per il freddoloso marito e mamma devota, nemmeno nelle statue appare abbellita da diademi, orecchini, abiti preziosi. Perfino con gli schiavi era magnanima.

È lei il secondo terminale della coppia modello, secondo un processo che sembra anticipare il tremendo trittico dio-patria-famiglia di novecentesca memoria. Deve conformarsi alle volontà del marito e ingoiare i suoi tradimenti, eppure Livia è la prima donna romana assimilata agli dei in vita. Augusto pretendeva che partecipasse ai suoi trionfi, le donò il privilegio della sacrosanctitas, le dedicò una piazza sull’Esquilino. Un dettaglio vale per tutti: il primo marito di Livia si chiamava Tiberio Claudio Nerone. Sono questi i nomi degli imperatori che succederanno a Augusto, Caligola escluso. Non è poco, come dote.