«Conte non scapperà dal dire la verità di fronte al Copasir». Parola del presidente dei deputati dem Graziano Delrio. E in effetti se il premier rifiutasse di riferire di fronte al Comitato di controllo sui servizi la cosa sarebbe a dir poco bizzarra. Certo serviva che prima il Copasir avesse un presidente, assegnato come sempre all’opposizione. Ora c’è. È Raffaele Volpi, il candidato messo in campo in extremis dalla Lega, in sostituzione di Molinari, inviso ai 5S, il cui voto potrebbe essere importante. Volpi invece è tra gli esponenti leghisti che, in veste di sottosegretario alla Difesa nel precedente governo, aveva con alcuni 5S ottimi rapporti. Il particolare sembrava ieri mattina destinato a scatenare una tempesta nel centrodestra. In quel momento i candidati erano tre, uno per ogni partito, con Urso per FdI e Vito per Fi. La Russa già gridava all’intelligenza col nemico e ventilava sfracelli nelle regionali. Poi, nel pomeriggio, un incontro tra Salvini e Meloni e una successiva telefonata ad Arcore hanno risolto il guaio e assegnato a Salvini la presidenza di cui aveva bisogno per provare a mettere il premier sotto assedio.

Una volta assegnata la poltronissima, infatti, per Conte inizierà il gioco duro. Ieri ha comunque tentato l’anticipo esponendo la sua versione dei fatti. L’incontro del 15 agosto tra il direttore del Dis Vecchione e i vertici dei servizi segreti dal lato italiano del tavolo, il ministro della Giustizia Barr e il procuratore Durham da quello a stelle e strisce, era stato regolarmente chiesto dal Dipartimento di Stato americano (circostanza però smentita dal New York Times che citava due giorni fa fonti interne proprio al Dipartimento). Il capo del governo italiano aveva acconsentito allo scopo di indagare su eventuali trame dei precedenti esecutivi italiani, governo Renzi e governo Gentiloni, per allestire la trappola Russiagate a danno di Trump.

La spiegazione, anche a prenderla per buona, non basta a spiegare quell’ «interesse nazionale» che, secondo il premier, giustifica la scelta di autorizzare l’incontro tra il ministro americano e i capi dei servizi italiani. Conte è perentorio: «Quando ci sono di mezzo gli interessi dell’Italia io sono più duro di Craxi a Sigonella». Dalle colonne del Corriere della Sera piove però una nuova tegola. Secondo la ricostruzione del quotidiano di via Solferino, dopo il primo incontro Vecchione, che è vicinissimo a Conte, avrebbe proceduto a indagare per conto dell’Attorney General Barr e nel secondo vertice tra la delegazione di Trump e i servizi italiani avrebbe poi riferito al ministro di Washington l’esito della sua indagine.

L’intera materia è molto scivolosa, a maggior ragione dopo quell’inatteso e un po’ iperbolico sostegno indirizzato dal presidente americano a «Giuseppi» proprio nella fase più incandescente della crisi di governo. Il Pd sembra deciso a fare comunque muro a difesa del capo del governo. Qualche dubbio in più circola tra le file pentastellate, ma si sa che i mal di pancia a cinque stelle vanno sempre presi con le pinze. Una cosa è sbottare negli angoli di Montecitorio con il cronista di turno. Tutt’altra dare seguito concreto allo sfogo. A quel punto che anche i 5S più tormentati si defilano e rientrano nei ranghi.

Il solo vero problema, nella maggioranza, è Renzi. Che martella sul tasto Russiagate versante Italy da giorni e giorni. L’obiettivo è strappare a Conte la delega ai servizi segreti, che il capo del governo, a differenza dei suoi ultimi predecessori, ha voluto e vuole mantenere nelle sue mani e che rappresenta una delle principali leve di potere. «A Conte abbiamo dato un consiglio, non un ultimatum», giura il leader di Italia Viva, negando così di volere a tutti i costi la rinuncia alla delega ai servizi del premier. Consiglio che, al momento, Conte è deciso a non accogliere. «Comunque un sottosegretario con delega dovrebbe far capo a Conte, quindi tanto vale che la delega la tenga direttamente lui», spiegava ieri facondo Rocco Casalino a Montecitorio. Sempre che, nei prossimi giorni, su qualche giornale italiano o americano, non saltino fuori nuovi elementi. O che il Copasir guidato da un leghista non riesca a mettere «Giuseppi» davvero alle strette.