Mentre i delegati facevano la fila per entrare alla Conferenza Onu sul clima, nella Royal Exchange Square di Glasgow ieri sono arrivati anche i primi attivisti, colorati e pacifici.

Di fronte alla Cop26 ha suonato una banda di attivisti-musicisti che indossavano le maschere dei principali leader mondiali, fra cui il premier britannico Boris Johnson, il presidente del consiglio italiano Mario Draghi, la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente americano Joe Biden, quello russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping. Si fanno chiamare «Cop 26 Hot Air Band», sono attivisti di Oxfam vestiti con il kilt scozzese, suonano cornamuse e tamburi.

La band sostiene che le nazioni ricche e inquinanti stanno tagliando le emissioni di gas serra troppo lentamente e non fanno abbastanza per sostenere le nazioni vulnerabili.

Le caricature dei leader della Oxfam ‘Big Head’ alla Cop26 di Glasgow, foto Ap

 

Tra i Paesi del G20 che non fanno abbastanza c’è, ad esempio, il Brasile, che però sarà presenta a Glasgow con una delle delegazioni più importanti, un esempio di greenwashing, perché l’attenzione al riscaldamento globale del governo Bolsonaro è ai minimi termini. Lo sostengono gli attivisti in difesa della foresta amazzonica, che stanno esortando i delegati della Cop26 a non fidarsi delle promesse di ecosostenibilità del Brasile, dopo che con Bolsonaro il Paese ha devastato l’ambiente negli ultimi tre anni.

Suely Vaz, ex capo del regolatore ambientale Ibama, che ora lavora per l’Osservatorio sul clima, intervistato dal quotidiano britannico Guardian ha spiegato: «Oggi il Brasile ha una politica anti-ambientale. La deforestazione e gli incendi boschivi sono fuori controllo. Tutto ciò deve cambiare per garantire che il denaro per il clima, che è importante per il nostro Paese, possa essere utilizzato in modo molto dettagliato e specifico».

Le immagini mostrano che la deforestazione è al suo livello più alto dal 2012: nei 12 mesi fino a luglio 2021, ad esempio, sono stati persi più di 10.000 chilometri quadrati di foresta.

Quel che accade in particolare in Amazzonia si lega alla riflessione di Compassion in World Farming, un gruppo di scienziati e personaggi fra cui Raj Patel e Carl Safina, che insieme a 100 organizzazioni non governative hanno esortato i leader mondiali a garantire che l’impatto della produzione del cibo e dell’agricoltura sul cambiamento climatico sia una parte centrale delle discussioni alla Cop26: «Se il modo in cui mangiamo non cambia sostanzialmente, in fretta, non riusciremo a raggiungere gli obiettivi climatici e la scienza dice che le ripercussioni saranno catastrofiche. Il consumo globale di carne e latticini deve essere notevolmente ridotto» spiega l’appello pubblicato ieri a tutta pagina sui giornali The Times e The National.

La società civile, a Glasgow, è presente anche all’interno dello spazio istituzionale, dove i negoziati sono in corso da ieri fino al 12 novembre. Tra le realtà italiane c’è l’Italian Climate Network, associazione nata nel 2011.

«Il nostro impegno alla Cop in qualità di delegati della società civile si concentrerà su tre punti: mitigazione, adattamento e finanza climatica» spiega Marirosa Iannelli, capo delegazione Icn. Nel concetto di mitigazione, aggiunge Iannelli, «sono incluse tutte le azioni volte a ridurre la quantità di gas serra nell’atmosfera. Agire in questa direzione è fondamentale, perché è proprio emettendo un’eccessiva quantità di questi gas che stiamo causando i cambiamenti climatici». L’altra faccia della medaglia, sottolinea Iannelli, «è la necessità di adattarsi a un clima che cambia. Nella pratica, significa ridurre al massimo gli impatti del cambiamento climatico sulla qualità di vita delle persone, l’approvvigionamento delle risorse e la stabilità degli ecosistemi. Significa proteggerci anche dagli eventi meteorologici estremi lavorando sulla prevenzione del rischio». Infine, l’argomento più complesso, legato ai fondi: «La finanza climatica ha l’obiettivo di destinare 100 miliardi di dollari all’anno fino a 2025 per il sostegno di progetti specifici e di politiche di mitigazione e adattamento nei Paesi in via di sviluppo. Si tratta di finanziamenti pubblici e risorse addizionali, fondi nuovi. All’appello però mancano ancora 20 miliardi di dollari e sarà tra uno dei nodi da sciogliere alla Cop26».