Sono quattro tra i primi dieci produttori di petrolio a non voler prendere atto che i combustibili fossili sono il passato. Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia e Kuwait nel 2017 hanno estratto il 42% di tutto il greggio (la fonte dei dati è il governo Usa), e probabilmente per questo non possono accettare che le Nazioni Unite mettano in discussione il futuro dell’oil, come fa invece il più recente rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), oggetto di scontro alla Cop24 in corso a Katovice, in Polonia.

IN PRATICA, gli scenziati che lo hanno redatto – 91 ricercatori da 44 Paesi, che hanno esaminato 6.000 studi e valutato 42.000 recensioni alle loro conclusioni – hanno evidenziato come l’aumento delle temperature sia attualmente fuori dai binari tracciati con l’Accordo di Parigi del 2015, e che il Pianeta stia andando verso un aumento di 3 gradi centigradi delle temperature medie globali. Se i paesi della Terra non prenderanno provvedimenti per limitare i gas serra, e il recente rapporto della World Meteorological Organization, altro organo del sistema dell’Onu, hanno chiarito che questo non è ancora successo, il riscaldamento globale potrebbe superare la soglia del grado e mezzo già nel 2030.

Come si fa ad invertire la rotta? Lo scenario considerato più radicale è quello che obbliga a un taglio delle emissioni, e prevede una serie di tappe obbligate: il passaggio a energie rinnovabili e a veicoli elettrici, l’efficienza energetica, un aumento nel riciclo dei rifiuti, una riduzione del consumo di carne.

INACCETTABILE, per chi – come Trump – difende ancora le centrali termoelettriche a carbone, nonostante gli impianti siano in dismissione anche negli Stati Uniti. E mentre il presidente Usa su Twitter definisce «ridicolo» ed «estremamente costoso» l’accordo di Parigi, alla Cop 24 si è consumato uno scontro istituzionale: i quattro cavalieri ambasciatori del petrolio – e i loro delegati alla Conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico, Unfccc – non hanno voluto inserire nella bozza del documento finale una frase che dava «il benvenuto» al rapporto dell’Ipcc, preferendo invece una frase più soft, con la quale la Cop24 «prendeva nota» delle indicazioni del documento. Quel passaggio del testo è stato accantonato.

Alcuni Paesi hanno manifestato pubblicamente la propria frustrazione: «Non si tratta di questa o quella parola, si tratta di accettare un documento che noi stessi abbiamo commissionato», ha dichiarato dal palco Ruenna Haynes, delegata di St Kitts and Nevis. «Siamo molto arrabbiati e riteniamo atroce che alcuni Paesi abbiano trascurato i messaggi e le conseguenze che questi comportano, non accettando quanto sia obbligatorio agire su questo fronte», ha detto Yamide Dagnet del World Resources Institute, già delegata del Regno Unito.

Sono già passati undici anni da quando l’Ipcc ha ricevuto il Nobel per la pace, proprio per le proprie attività di ricerca e divulgazione sul tema del climate change. Nell’ultimo rapporto si legge: «le attività umane si stima che abbiano causato approssimativamente un grado di riscaldamento globale dai livelli pre-industriali». Solo se oggi stesso si cominciassero a ridurre drasticamente le emissioni e ad assorbire la CO2 esistente nell’atmosfera, si potrebbe raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento medio delle temperature entro 1,5 gradi, limitando gli effetti più negativi dei cambiamenti climatici.

«NON È CHIARO se abbiamo assistito a una schermaglia, o se il messaggio è “attenti, siamo pronti a boicottare ogni accordo”. È un dato di fatto che alcuni Stati rappresentano un freno rispetto ad altri blocchi, come quello europeo. Lo è anche, però, che tutti i Paesi sono ancora dentro l’Accordo di Parigi, e che non hanno una “spiegazione alternativa” a quella dell’Ipcc rispetto al climate change», sottolinea Stefano Casarini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, a Cop24 come delegato dell’Italian Climate Network.

I quattro Paesi che hanno bocciato il report Ipcc rappresentano «economie basate sulle fonti fossili, e in quest’ottica ciò che accade ci invita a considerare un tema, che è presente nel rapporto: è necessario affrontare le ricadute sociali della decarbonizzazione. Equità e giustizia sociale sono centrali nelle politiche di mitigazione – aggiunge Casarini -: i sindacati parlano di “transizione appropriata”. I lavoratori chiedono di sedere al tavolo della trattativa. Se non la si prepara, la transizione sarà traumatica».