L’Unione europea, che è la 196esima “parte” della Cop21 accanto ai 195 stati rappresentati alla conferenza Onu sul clima, ha fatto ieri una gran brutta figura. A Bruxelles, all’Eco-fin (il Consiglio dei ministri delle Finanze dei 28) non è stato fatto nessun vero passo avanti sulla Tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), che potrebbe raccogliere tra i 10 e i 30 miliardi di euro l’anno, da destinare all’adattamento dei paesi in via di sviluppo al cambiamento climatico. Per il commissario Pierre Moscovici, c’è “ancora lavoro da fare”, Oxfam parla di intesa “molto vaga”. I paesi disposti per ora a discutere sull’eventualità di questa tassa, sono calati da 11 a 10: l’Estonia si è ritirata (restano germania, Italia, Francia, Austria, Belgio, Grecia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna). La tassa dovrebbe intervenire sui mercati azionari e dei prodotti derivati, mentre sono già escluse le obbligazioni di stato e quelle di impresa, e sono già previste esenzioni, per esempio per le banche quando forniscono liquidità alle imprese. Sui tassi, deciderà la Commissione Ue, ma si parla di percentuali infinitesimali (0,1% per le azioni, 0,01 per i derivati).

Ieri, due paesi che non fanno parte del gruppo dei volontari, la Gran Bretagna e l’Olanda, hanno alzato la voce. Jeroen Dijsselbloem, ministro delle finanze olandese (e presidente dell’Eurogruppo) ha espresso forti preoccupazioni per le reazioni dei fondi pensione a un’eventuale imposizione della Ttf. Il britannico George Osborne ha persino minacciato di far ricorso alla Corte di giustizia Ue se una decisione sulla Ttf rischia di danneggiare l’attività finanziaria della City.

Il presidente della Cop21, il ministro degli esteri Laurent Fabius, ha dato tempo alla “fase ministeriale” della trattativa fino a oggi per presentare un testo di accordo. Per poi avere tempo, fino a venerdi’, di mettere mano agli ultimi ritocchi e concludere la Cop21 di Parigi con un successo. Sono al lavoro quattro gruppi tematici, diretti ognuno da due ministri – uno dei paesi ricchi del Nord, uno di quelli del Sud – che hanno il compito di “facilitatori”. Il primo gruppo si occupa dei finanziamenti, il punto più caldo. Un secondo gruppo analizza la “differenziazione”, cioè il peso della responsabilità storica del Nord industrializzato nel riscaldamento climatico che colpisce per il momento soprattutto il Sud del mondo. La brutta notizia arrivata da Bruxelles, ieri, ha gelato l’ambiente. I paesi ricchi frenano e non intendono accettare un obbligo preciso sui finanziamenti al Sud, che riguardano anche i trasferimenti di tecnologia. L’ultima versione del testo di accordo parla solo più di “contributi volontari”, senza obblighi (eventuali sanzioni non sono mai state prese in considerazione). La Ue vorrebbe che alcuni paesi del “Gruppo 77” (cioè 134 paesi) mettessero anch’essi mano al portafoglio: è nel mirino soprattutto la Cina, che, stando alla Commissione Ue, ha ormai “capacità finanziarie che non aveva nel ‘92”, ai tempi del Protocollo di Kyoto. Blocco anche sui capitoli dell’ “ambizione” e delle azioni entro il 2020: si tratta dei meccanismi – vincolanti o meno – di revisione degli obiettivi. Nella versione che circola del testo finale non è previsto nessun aumento dei contributi dei paesi per il periodo che precede il 2020, data ipotetica di entrata in vigore del nuovo accordo.