Donald Trump sembra deciso a far uscire gli Usa dall’intesa della Cop21. «Annuncerò la mia decisione sull’Accordo di Parigi nei prossimi giorni. Make America Great again!», ha twittato il presidente ieri riprendendo lo slogan della campagna elettorale, in risposta alle informazioni che si stavano accavallando su un annuncio imminente della Casa Bianca. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha reagito, senza citare espressamente gli Usa: è «assolutamente essenziale» che l’accordo sia «messo in opera» e «se un governo dubita, è ancora più necessario che tutti gli altri si uniscano con forza e conservino l’obiettivo». Ue e Cina hanno anticipato un comunicato comune preparato per l’incontro bilaterale di venerdì e frutto di negoziati durati otto mesi tra pechino e Bruxelles, per ribadire il loro «sostegno» all’Accordo di Parigi, «qualunque sia la decisione Usa».

 

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È ANCORA DA DETERMINARE il modo in cui Trump presenterà il ritiro dall’accordo sul clima. C’è uno scontro in atto, tra i nazionalisti ideologici a cui appartiene anche il capo dell’Epa (agenzia per l’ambiente) Scott Pruitt, e l’ala pro-business, che ha un difensore nel segretario di stato Rex Tillerson. Ventidue senatori repubblicani hanno inviato una lettera a Trump per spingerlo ad abbandonare la lotta al riscaldamento climatico, mentre negli Usa ci sono grandi città (come San Francisco) che partecipano al processo di «neutralità carbone», stati (come la California) che reagiscono dopo aver subito una siccità eccezionale e grandi imprese (ExxonMobil, Du Pont, Google, Intel, Microsoft) che stanno facendo pressione per evitare un abbandono degli impegni presi a favore della lotta al riscaldamento climatico in nome dell’interesse economico.

L’ACCORDO DI PARIGI è stato firmato nella capitale francese il 12 dicembre 2015 da più di 190 paesi (Ue compresa), è formalmente in vigore dal 4 novembre 2016, quando è stata raggiunta e superata la quota minima necessaria (55% dei paesi firmatari, responsabili del 55% delle emissioni di Co2): oggi, 147 paesi hanno sottoscritto l’impegno di limitare sotto i 2 gradi il riscaldamento climatico rispetto ai livelli pre-industriali.

L’USCITA DEGLI USA dalla Cop21 potrebbe prendere tre forme diverse: 1) un ritiro dall’Accordo di Parigi, ma in questo caso i tempi sono di 3 anni, anche se non sono previste sanzioni; 2) una revisione al ribasso dell’impegno Usa preso a Parigi, che era di una riduzione del 26-28% delle emissioni a effetto serra entro il 2025 per il secondo inquinatore al mondo, responsabile del 18% delle emissioni di Co2 (20% per la Cina); 3) ancora più drastico, il ritiro dalla Convenzione quadro dell’Onu sul clima, che risale al vertice della terra di Rio del ’92, e nella quale convergono tutti gli accordi successivi sul tema (ma persino la Russia scettica sul clima è presente). Trump ha già annullato con un decreto del 28 marzo il Clean Power Plan, voluto da Obama, che prevedeva di ridurre di un terzo le emissioni di Co2 delle centrali elettriche.

«In funzione delle decisioni degli uni e degli altri, la Francia deve essere molto offensiva», ha commentato ieri il presidente francese, Emmanuel Macron. A Taormina, al G7, il comunicato finale aveva preso atto del disaccordo: «Gli Usa stanno rivalutando la loro politica sul cambiamento climatico e sull’accordo di Parigi» e quindi «prendendo atto di questo processo, i capi di stato e di governo di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Gran Bretagna, così come la Commissione europea, riaffermano il loro impegno a mettere rapidamente in atto l’accordo di Parigi». Macron aveva cercato di mantenere aperte le vie della diplomazia: «Sì, c’è un disaccordo sul clima, ma spero che ridurremo le distanze». Angela Merkel era stata più drastica e aveva parlato di «sei contro uno», con un risultato «per nulla soddisfacente». La cancelliera tedesca è contraria ad accettare il compromesso zoppo su una riduzione degli impegni Usa, per evitare una rottura chiara e permettere a Washington di restare al tavolo dei negoziati, mentre Macron spera che gli Usa restino nel negoziato multilaterale, anche con impegni rivisti al ribasso. Merkel vuole usare l’arma del prossimo G20, che si terrà a Amburgo a luglio, per far approvare un «piano di azione su clima ed energia a favore della crescita».

UN RAPPORTO DELL’OCSE pubblicato il 23 maggio scorso sostiene che gli investimenti necessari per la lotta al riscaldamento climatico permetteranno di aumentare la crescita del pil del 2,8-5% di qui al 2050. Adesso la tappa da superare è l’applicazione degli accordi: un’intesa sul calendario, la ripartizione degli sforzi tra diversi paesi e zone geografiche, i finanziamenti. Tutti problemi che rappresentano ostacoli difficili da superare, mentre l’Onu continua a lanciare l’allarme: la terra si avvia a un aumento delle temperature, per il 2100, tra +2,9 e 3,4°, cioè molto al di là dell’impegno di restare sotto +2°.