La conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo come occasione per fare il punto di quanto fatto in questi anni dall’Italia e promettere – elettoralmente – di migliorarne quantità e qualità. Con l’obiettivo fin troppo ambizioso lanciato dal ministro dello sviluppo Carlo Calenda di raggiungere lo 0,5 per cento del Pil, quasi 9 miliardi l’anno.
Una due giorni – questa mattina interverrà il presidente del consiglio Paolo Gentiloni – all’Auditorium parco della musica di Roma cominciata con uno degli ultimi interventi pubblici del ministro degli esteri Angelino Alfano. L’Italia, ha rivendicato il ministro, «fanalino di coda tra i paesi più avanzati per percentuale di pil destinato allo sviluppo, è tornata ad assumere un ruolo di primo piano, diventando il quarto donatore del G7, raggiungendo lo 0,27 per cento in percentuale di aiuto allo sviluppo».

Il ministro ha poi ricordato che l’Agenzia della Cooperazione, che ha iniziato a operare nel gennaio del 2016, ha destinato ad associazioni e organizzazioni della società civile 65 milioni nel 2016 e 95 nel 2017. In prima linea la sfida del cambiamento climatico: oltre 130 milioni nel 2017 sono andati a progetti in questo ambito e per la tutela della biodiversità.

Come detto è toccato ad un altro che non si candida ma non ben altre prospettive future – Carlo Calenda – passare alle promesse. Nel suo intervento, il ministro per lo sviluppo economico ha parlato della cooperazione allo sviluppo come dell’«asse portante nella direttrice degli investimenti del nostro Paese» sia per ragioni etiche che «di sicurezza e sviluppo delle attivita economiche». In passato, «l’Italia investiva lo 0,14 per cento del Pil, oggi la quota degli investimenti in cooperazione è raddoppiata ma ci dobbiamo porre l’obiettivo di uno 0,5 per cento del Pil, un obiettivo raggiungibile e fondamentale per la crescita del paese e delle nostre aziende».

L’intervento più politico è stato sicuramente quello del viceministro agli esteri Mario Giro. «L’unica vera soluzione per la gestione dei flussi migratori – ha detto – è di insegnare ai cittadini africani ad investire su se stessi e a diventare imprenditori. Così come l’Asia è entrata nella globalizzazione investendo nella manifattura industriale, così l’Africa può farlo attraverso l’agro-industria, dal momento che è l’unico continente in cui ci sono ancora 200 milioni di ettari di terra coltivabile. L’Africa, a parte la Nigeria, è un continente sottopopolato e che ha quindi enormi porzioni di terreno. Se non interverremo, vi si scateneranno le grandi imprese internazionali per fare land grabbing», ha aggiunto Giro. Che poi ha aggiunto: «Mi sono opposto alla campagna contro le Ong, non c’è nulla che non vada in ciò che fanno. Bisogna solo applaudirle».

La cooperazione internazionale infatti in questi anni ha significato anche creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani. Il settore negli ultimi anni ha creato opportunità, segnando un aumento annuale del 10 per cento e creando 16.000 posti di lavoro nel 2015 presso le organizzazioni della società civile italiana. Il 2016, in particolare, è stato l’anno del boom di assunzioni nella cooperazione internazionale, con un aumento del 25 per cento dei posti disponibili: 800 sono state pubblicate sul sito info-cooperazione, un terzo delle quali si riferivano a posizioni in Italia, un terzo a posizioni in Africa e le rimanenti in America Latina, Asia e Medio Oriente. Nel 2018 si è aperta la possibilità di creare nuovi posti di lavoro nel settore della Cooperazione Internazionale: a febbraio verrà pubblicato un bando per la selezione di 60 nuovi funzionari, esperti di cooperazione. L’ultimo bando pubblico risale a oltre venti anni fa».