L’hanno chiamata «fase bunker». Nelle prime tre settimane del lockdown gli italiani si sono fiondati soprattutto nei punti vendita più piccoli e hanno fatto incetta di scatolame, pasta, olio e più in generale prodotti a lunga conservazione (carne in scatola +57%, conserve di pomodoro +57%). Sono andati a ruba lieviti e farine ed è crollata del 20 per cento la vendita di pane. Giù pure i consumi di pesce (-8 per cento) e di generi alimentari freschi.

Come se si temesse una carestia o si fosse in guerra. Poi alcune tendenze si sono arrestate, come la corsa ad accaparrarsi i beni di lunga durata, ed è risalita la vendita di pane e prodotti di pasticceria. Per far fronte all’emergenza ed evitare speculazioni, Coop ha bloccato i prezzi di 18 mila prodotti con il proprio marchio, investendoci 50 milioni di euro. Ora, per fronteggiare la crisi economica e sociale, ha deciso di mantenere i prezzi dei prodotti con l’etichetta Coop ancora bloccati fino al 30 settembre, investendo altri 50 milioni.

«Avvertiamo la necessità di rispondere con misure concrete a una fase complessa che potrebbe generare un’ulteriore, drammatica polarizzazione dei consumi», ha spiegato ieri in una conferenza stampa virtuale il presidente Marco Pedroni.

«Abbiamo scelto di non aspettare e di mandare subito un messaggio alle famiglie e ai produttori. Così facendo agiamo sia a monte (verso i fornitori), che a valle (verso i consumatori) per garantire la stabilità dei prezzi e delle remunerazioni dei diversi attori della filiera», ha aggiunto l’amministratrice delegata Maura Latini.