Nel giorno del (primo) aumento reale dell’occupazione, i licenziamenti vanno avanti imperterriti. E nel silenzio generale. A deciderli unilateralmente sono gli stessi – cooperative – che brindano al calo della disoccupazione. Oggi i lavoratori di tutti i negozi Coop Estense di Puglia e Basilicata scioperano tutta la giornata contro la procedura di licenziamento collettivo per 147 lavoratori. La cooperativa emiliana ha deciso di farsi grande andando alla conquista del centro-sud. Nelle due regioni vanta 13 punti vendita tra ipermercati e supermercati, con 1.168 lavoratori. Ma come i francesi di Auchan – che però è tornata sui suoi passi, rinunciando ai licenziamenti e accordandosi per contratti di solidarietà – piange perdite nel solo mezzogiorno. Per questo ha deciso di licenziare ed esternalizzare per ridurre il costo del lavoro alla faccia degli ideali storici del settore mutualistico.

La procedura di licenziamento fu annunciata come un fulmine a ciel sereno ai delegati lo scorso 19 febbraio. I vari tentativi di giungere ad una conciliazione sono tutti falliti. Il sindacato ha offerto di tutto per evitare la perdita di posti di lavoro: ha proposto di sospendere la parte economica relativa al contratto integrativo sottoscritto nel 2014, dei festivi, dei notturni, delle ore di permesso e dei buoni mensa, e di sottoscrivere il contratto nazionale. Ma il risparmio – stimato dai sindacati in 1 milione e 300mila euro non è bastato all’impresa. Nel frattempo però la stessa Coop Estense ha investito in Lazio e in Campania, rilevando 54 punti vendita ex Despar, dove il costo del lavoro è più basso.

«Non si può chiedere ai lavoratori di abbassare il salario per poi cedere il lavoro ad altri colleghi che saranno sottopagati – attacca Alessio Di Labio, della Filcams Cgil Nazionale – si potrebbe, invece, suddividere maggiormente il sacrificio intervenendo sulle parti variabili che ridistribuiscono a pochi per conservare alcuni istituti che valgono invece per tutti, come le maggiorazioni domenicali. Siamo disponibili a trovare un accordo, che tenga conto delle esigenze di tutti, ma è necessario un cambio di passo al tavolo negoziale».

Il clima è rovente. Le organizzazioni sindacali nei giorni che precedono lo sciopero sono state costrette a diffidare la cooperativa dal proseguire con pressioni e attività che considerano antisindacali e che ledono la libertà di sciopero dei lavoratori: «Un comportamento da “padroni”, non certo da cooperatori», commenta la Filcams Cgil.

Oggi sarà anche il giorno in cui la vertenza sarà affrontata al Ministero del Lavoro a Roma ed un primo obiettivo delle organizzazioni sindacali sarà quello di prolungare i termini della procedura, per evitare, vista la distanza tra le parti, il rischio dei licenziamenti dal giorno dopo.

Non va meglio tra le multinazionali delle telecomunicazioni. Da settimane va avanti lo stato di agitazione dei lavoratori del settore dei vendor alla svedese Ericsson. Alla sua terza ristrutturazione al 2011, l’azienda di Stoccolma intende licenziare 166 lavoratori della sede di Agnanina a Roma e di Arese (dopo i 335 del 2013) che per protesta sciopereranno il prossimo 8 giugno.

La morale è la stessa: il Jobs act è così favorevole per le imprese che porta anche quelle storicamente più sensibili alle condizioni dei lavoratori a sfruttare il momento per ridurre il costo del lavoro. Un altro esempio lampante è Ikea. Il primo giugno è andato in scena il primo sciopero in 25 anni. Gli svedesi hanno deciso di disdettare unilateralmente tutti i contratti integrativi. Tagliando i premi e le domeniche, un part time da 24 ore – una buona fetta dei lavoratori Ikea – arriverà a guadagnare solo 550 euro al mese. Gli stipendi base al tempo del Jobs act.