Stavolta non gli dice che lui «è meglio come romanziere»: fra l’altro ormai anche lui è uno scrittore di successo, e anche per la gioia della stessa casa editrice, la Rcs. Stavolta Renzi a Veltroni riconosce invece che il Pd che gli piace nasce nel 2007 «al Lingotto, e il discorso di Walter è la sua Costituzione»; che di veltroniano nella sua idea di politica «c’è molto»; che «la vocazione maggioritaria è sempre meglio della vocazione minoritaria» sottinteso quella degli avversari interni del Pd. Di più: che il primo libro della sua educazione politica, negli anni 90, «è stata proprio una raccolta di discorsi di Bob Kennedy: Il sogno spezzato, prefazione di Walter Veltroni».

Ieri pomeriggio al Tempio di Adriano, sontuosa location del centro di Roma scelta per la presentazione del libro di Giorgio Tonini e Enrico Morando L’Italia dei democratici, si è chiusa ufficialmente la parabola del Renzi rottamatore e si è aperta quella del Renzi «asfaltatore» e futuro segretario del Pd. Che infatti imbarca nelle sue file tanti colleghi «di prima prima», leggasi Franceschini e Castagnetti. Ma che soprattutto riconosce la primogenitura della ’rivoluzione democratica’ all’ex rottamato fondatore Veltroni. Quella di Bersani è stata una parentesi (perdente), quella di oggi è una storia spezzata che riparte. Veltroni non la dice così, ma il luogo ha una sua forza evocativa: proprio qui, in questa stessa sala ugualmente gremita, nel 2008 ha annunciato le sue dimissioni e ammesso il fallimento della sua «nuova stagione» «liquida» e «ma-anchista». E così contro gli avversari interni di sempre Veltroni si leva i sassolini che da anni conserva nelle scarpe: «Il partito ’solido’ ha 250mila iscritti, il mio partito ne aveva 800 mila»; del resto «il partito ’solido’ in una società liquida affonda, è quello che è successo».

Renzi e Veltroni sono d’accordo su tutto. E cioè sono contro tutto quello che D’Alema ieri e Cuperlo oggi sostengono. Sono contro l’idea (dalemiana) che l’elettorato è immobile e inamovibile; contro le correnti, contro le quali il sindaco invoca uno «tsunami» (copyright Grillo); contro la separazione fra premiership e leadership (Tonini fa risalire questa ispirazione a De Gasperi); contro «i conservatori» di sinistra. Li unisce «un’idea di fondo, quella che questo paese debba avere un grande partito democratico e riformista». Con la quale Veltroni però non ha vinto, nel 2008, anche se rivendica di aver preso il 34%, vetta lontanissima dal Pd bersaniano. Quindi, incoronando il suo erede («la sua evoluzione naturale», esulta il renziano Marcucci) gli regala un consiglio che è un’autocritica: «Sia inclusivo, non faccia gli errori che ho fatto io, valorizzi la ricchezza del Pd. E conquisti la maggioranza degli italiani, oggi si può».

Musica per le orecchie del sindaco, che da sempre rivendica l’ambizione di conquistare il voto dei berlusconiani delusi. E che della sinistra non sopporta lo sconfittismo e gli stereotipi, quelli che per la verità già Nanni Moretti sfotteva vent’anni fa: «Dobbiamo dare alla comunità degli elettori del Pd l’immagine che non siamo un autoterapia di gruppo». E se ha detto che vuole «asfaltare Berlusconi» – frase contestatissima da destra – è perché voleva dare una sferzata, contro l’idea che a votare il Pd siano gli sfigati («i coglioni», aveva detto Berlusconi nel 2006), quelli che «poveretto cosa hai fatto da piccolo?». Bisogna smetterla, ha ammonito Renzi «di dire che siamo solo quelli che si caricano dei problemi» – che a occhio nell’Italia martoriata dalla crisi non dovrebbe essere un cattivo biglietto da visita per un candidato premier. Invece vuole far passare l’idea che votare Pd «sia cool», «sexy», «figo o fico, qui si apre una disputa lessicale», gigioneggia con il moderatore Enrico Mentana, direttore del Tg de La7.

Renzi non resiste alla battuta: ci mette un attimo a iscrivere nel catalogo dei democratici ’tristi’ il viceministro Stefano Fassina, «sempre uno dei primi a intervenire contro di me, insieme a Brunetta». Risate. Lui, triste, perché mai dovrebbe essere. La mattina si è presentato nel monumentale salone d’onore del Coni a fianco del presidente Giovanni Malagò per lanciare il mondiale di ciclismo che si svolgerà fra il 22 e il 29 settembre in Toscana. Uno spot mondiale, per l’aspirante premier. Anche lì ha mietuto complimenti: «Non devo essere io a dirlo, ma mi sembra che Renzi abbia dei consensi molto trasversali», ha chiosato Malagò. L’organizzatore Angelo Zomegnan è andato ben oltre nell’omaggio: «Renzi sarebbe interessante anche se leggesse le Pagine Gialle». Il giovane leader ha il vento in poppa. Certo, deve pedalare. E infatti invoca lo spirito di Bartali, «il Ginaccio», pazienza se prima di lui a Palazzo Chigi è caduto un altro appassionato ciclista, Prodi.

Quanto all’inquilino di oggi, Enrico Letta, Renzi non risparmia una punzecchiatura: «Sento dire che dovremmo incrociare la ripresa, agganciarla, come se fosse un autobus, ma la ripresa si ricostruisce non si aggancia». Guarda alla Spagna, pensa all’Italia: «Forse in condizioni peggiori delle nostre ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra». Sottinteso, non il galleggiamento del governo delle larghe intese. Ma il sindaco sa che il presidente del consiglio gode del favore dei sondaggi ed evita di parlarne troppo male. Gliel’ha chiesto a brutto muso il segretario Epifani, per evitare di far passare l’idea che sia il Pd, e non Berlusconi, a mettere in crisi la sopravvivenza del governo in un momento tanto delicato per il paese. Ma questo sarà il capitolo successivo della scalata verso la guida del paese. I renziani non fanno mistero che il fine corsa delle larghe intese è fissato nelle primavera 2014, nella mente del futuro leader. Ora c’è il congresso del Pd da stravincere.

Quanto ai problemi del paese. quelle che preoccupavano Bersani al punto di fargli rinunciare al voto, e alla vittoria nel 2011, Renzi fa capire che l’aria nel Pd è cambiata. Oggi la ditta asfalta. «Bersani ha detto ’io non voglio vincere sulle macerie’. Io invece voglio vincere. E poi ricostruiamo».