Il primo giro di consultazioni di Mario Draghi finisce com’era iniziato. Colloqui lisci come l’olio all’interno delle stanze di Montecitorio dove il presidente incaricato riceve le delegazioni – persino troppo liscio quello della Lega, vedremo poi – mare in tempesta fuori da quelle stanze. Ieri a ballare è stato più di tutti il Pd.
Salvini in versione statista europeo, disponibile e aperto come se fossero passati anni e non ore da quando ripeteva «mai con Draghi», ha rovinato la mattinata a Zingaretti. Che ha assistito in diretta, dalle parole del capo leghista che all’uscita delle consultazioni ha preso a parlare come se avesse inghiottito Giorgetti – al crollo della sua ultima trincea. Quel «vogliamo solo europeisti e atlantisti» con il quale aveva suggerito di tener fuori Salvini, senza nomi e cognomi per non mettersi di traverso al Quirinale.

È stato allora, mentre i vertici 5 Stelle si accomodavano numerosi attorno al tavolone di Draghi, probabilmente senza aver troppo notato la performance di Salvini perché chiusi in training autogeno con Grillo e Conte, che è circolata la voce che il Pd stesse valutando l’appoggio esterno al governo Draghi. Un’ipotesi dirompente visto che la direzione del partito aveva già approvato, all’unanimità e senza interventi contrari, l’appoggio pieno al tentativo di Draghi. E Zingaretti stesso, ce ne fosse bisogno, aveva ricordato quanto il Pd sia sempre stato un partito che non sfugge alle responsabilità.

Certo non bastava l’ironia amara di alcuni commenti dem alla spettacolare capriola di Salvini. «È diventato europeista in 24 ore, effetto Draghi», ha scritto Orlando. Ecco allora i boatos sull’appoggio esterno, nobilitati dalla citazione del precedente del 1993. Ancora il governo di Ciampi – che non a caso Zingaretti ha citato uscendo dal colloquio con Conte -, esecutivo quadripartito nato solo grazie alle astensioni di Pds, Lega, Pri e Verdi.

L’indiscrezione è stata (quasi) subito smentita da una nota ufficiale del Pd: «Sono totalmente infondate le notizie su orientamenti assunti su un eventuale appoggio esterno al governo». E da dove sia partita la voce si è perso nel clima non proprio sereno del Nazareno; giusto ieri la corrente del ministro Guerini, Base riformista, ha deciso che fosse il giorno giusto per chiedere il congresso. Più facile valutare l’esito dell’«incidente»: l’immediata archiviazione della scappatoia, casomai Zingaretti ci avesse per un attimo effettivamente pensato. Risultato soddisfacente per le correnti centriste, formalmente minoranze ma maggioranza nei gruppi parlamentari. E mentre Renzi ne ha approfittato per raccontare come sia stato Franceschini, dietro le quinte, all’ultima curva della crisi, a spingerlo a decidersi a «tagliare la testa» al Conte due, gli esponenti più vicini al segretario hanno visto ridursi a zero gli spazi di manovra. «No all’abbraccio mortale con Salvini», ha insistito Majorino. «Serve un governo coeso», ripetuto Oddati, una formula che Zingaretti aveva provato a far passare direttamente con Draghi. Altri hanno proposto di recuperare il governo tecnico per evitare imbarazzanti convivenze con i ministri leghisti.

Ma non è quella la soluzione alla quale lavora Draghi, che ha lasciato capire abbastanza chiaramente a tutti i suoi interlocutori di questi primi tre giorni – e già nella formula «mi rivolgerò al parlamento» pronunciata al Quirinale accettando l’incarico con riserva – che prevede di inserire i rappresentanti dei partiti «nei posti giusti» all’interno del suo governo. Di tutti i partiti che voteranno la fiducia.

Lo spiegherà nel corso del veloce secondo giro di consultazioni tra lunedì e martedì pomeriggio. Quindici-trenta minuti a gruppo parlamentare per illustrare la sua sintesi di tutto quello che ha ascoltato nei primi colloqui (e nel frattempo lunedì mattina avrà anche sentito le parti sociali). Certamente terrà conto delle diverse proposte programmatiche piovute nelle stanze delle consultazioni. Ma la preoccupazione del Pd, come dei 5 Stelle e di Leu, è adesso soprattutto sull’organigramma del nuovo governo. Dove si vederà se la tempesta di richieste e preoccupazioni che hanno agitato fuori avrà prodotto qualcosa.