Molti tra i più interessanti autori angloamericani viventi sono approdati a Capri da quando uno dei più piccoli, e certamente il migliore, tra i festival letterari italiani, «Le conversazioni», ha inaugurato i suoi incontri, ormai nel 2006. Allora, arrivarono contemporaneamente nell’isola, Jeffrey Eugenides, Zadie Smith, Jonathan Franzen, e Nathan Englander, presenze inquivocabilmente testimoni del fatto che a monte di questa serie di incontri c’era una selezione intelligente, uno spirito critico all’opera e un desiderio di dare rappresentatività a quanto di più innovativo la fiction di lingua inglese aveva da offrire.
Non smentirsi, resistendo alle aspirazioni elefantiache di tutti i festival nostrani e assicurando almeno due o tre autori di qualità per ciascuna edizione era una scommessa difficilmente mantenibile, eppure è successo. Negli anni sono stati intervistati da Antonio Monda nella rotonda di Tragara affacciata sui faraglioni Martin Amis, Paul Auster, Michael Cunningham, A. M. Homes, Jonathan Lethem, Patrick McGrath, Jay McInerney, Salman Rushdie, George Saunders, E. L. Doctorow, Colson Whitehead, Adam Haslett, David Leavitt, Adam Johnson: la tentazione di elencare è irresistibile e motivata dal fatto che a questi autori si devono alcune tra le più strepitose prove della narrativa contemporanea.
L’edizione di quest’anno porterà a Capri – il 5 luglio – uno degli scrittori più interessanti della seconda metà del ‘900 e insieme uno dei più ritrosi, Don DeLillo, il cantore degli incubi postmoderni, il teologo del consumismo e dei suoi precipitati: la spazzatura e le armi, innanzi tutto, prodotti che hanno a che fare con il sottosuolo, l’una perché vi trova sepoltura, le altre perché nel sottosuolo vengono fatte oggetto di sperimentazione: non a caso il libro più famoso di DeLillo si intitola Underworld, quasi novecento pagine in cui scorrono cinquant’anni di vita americana.
Il tema che quest’anno farà da traccia per gli interventi degli scrittori invitati a Capri, «Corruzione e purezza» trova nei romanzi di questo scrittore una declinazione estranea a ogni attitudine moralistica, e si traduce piuttosto in domestiche esplosioni di caratteri tra le pareti quotidiane, che ospitano l’intrusione del mistero come una componente ineliminabile delle nostre esistenze. Nato da una famiglia italoamericana del Bronx, a pochi isolati di distanza dall’abitazione di Lee Harvey Oswald, l’uomo ritenuto responsabile dell’assassinio di Kennedy, DeLillo ha sempre radicato i suoi personaggi in luoghi a lui profondamente familiari: Libra nacque così, dalla lettura del rapporto Warren e da quella contiguità di quartiere con l’operaio naturalizzato sovietico che per due giorni, prima di venire lui stesso ammazzato, salì agli onori della cronache come colui che privò il sogno americano del suo presidente più amato. Ma il titolo più letterariamente riuscito di DeLillo resta Rumore bianco.
Gli incontri capresi verranno inaugurati – il 27 giugno – dalla romanziera e saggista Marilynne Robinson, premiata per la sua opera prima Housekeeping con il Pen/Hemingway Award, sulla scia del quale si è indirizzato il successo raccolto dalle altre sue opere, tra le quali i saggi di Mother Country del 1989 e di The Death of Adam del 1998, fino al titolo che le è valso il Pulitzer, Gilead tradotto da Einaudi.
Il giorno dopo, uno dei maggiori esponenti del decostruttivismo americano, Daniel Libeskind allargherà ai confini dell’architettura il tema delle «Conversazioni». Parlerà delle associazioni mentali legate al filo conduttore – «corruzione e purezza», appunto – dalla prospettiva di cosa distingua il vero dal falso, esaminando i difetti che si nascondono nella perfezione e le fragilità intrinseche al concetto di purezza. Nato in Polonia, e naturalizzato statunitense, Libeskind si era in un primo tempo dedicato alla musica; il suo lavoro più celebre resta, a oggi, lo Jüdisches Museum di Berlino, del ’98. Tra gli altri partecipanti, Rachel Kushner, il cui titolo più noto è I lancia-fiamme(Ponte alle Grazie, 2014), ambientato per molte delle sue pagine in Italia all’epoca degli anni di piombo; l’inglese Hanif Kureishi, romanziere interessato a dare rappresentazione alle minoranze etniche e alle relazioni urbane delle contemporanee metropoli; e l’australiana Anna Funder, della quale Feltrinelli ha tradotto, fra l’altro, C’era una volta la Ddr, un romanzo che si addentra nella quotidianità della Germania orientale ascoltando ex funzionari governativi, informatori, e cittadini qualunque vittime del regime.