Sono trascorsi appena quattro giorni dall’insediamento di Donald Trump e alla Muqata di Ramallah, il quartier generale dell’Anp, è già l’allarme rosso. La conversazione telefonica «very warm» avuta domenica sera dal presidente americano e il premier israeliano Netanyahu ha confermato che la nuova Amministrazione intende realizzare quanto il tycoon aveva promesso allo Stato ebraico in campagna elettorale. In verità il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme non sarebbe stato affrontato nella telefonata di domenica. Ma ai vertici dell’Anp sanno che questo nodo sarà in cima all’agenda dell’incontro che Trump e Netanyahu avranno il mese prossimo alla Casa Bianca. E a gettare sale sulle ferite ci ha pensato anche il quotidiano Haaretz rivelando che durante un meeting del suo partito, il Likud, Netanyahu ha ribadito che i palestinesi potranno avere solo uno Stato “ridotto”, minuscolo.

Non sa dove sbattere la testa il presidente dell’Anp Abu Mazen. Sa di avere l’appoggio della Giordania. Re Abdallah, che ha incontrato domenica, è un alleato di Israele nelle questioni di sicurezza ma è anche il “protettore” dei luoghi santi islamici e della Spianata delle moschee di Gerusalemme e non può restare a guardare. Però è l’unico appoggio sicuro, se si tiene conto che l’Egitto punta a stringere i rapporti con Trump dopo l’uscita di scena del “nemico” Barack Obama, che le monarchie del Golfo tacciono e che il leader russo Vladimir Putin è occupato dalla guerra che devasta la Siria. Abu Mazen non può far altro che lanciare qualche avvertimento. Il suo caponegoziatore Saeb Erekat ha minacciato il ritiro del riconoscimento di Israele da parte dei palestinesi e la sospensione dello Stato ebraico dall’Onu se Trump proclamerà tutta Gerusalemme, anche la zona araba occupata, capitale di Israele. Il governo Netanyahu, ha notato l’esponente palestinese, «si è allineato con i più estremi, sostenitori della supremazia bianca, nazionalisti, populisti, partiti in Europa e negli Stati Uniti. Gente che incita alla guerra contro i valori di arabi e musulmani». Nel giro di un anno o due i palestinesi rischiano anche di dover fare i conti con importanti Paesi dell’Ue, la Francia ad esempio, guidati da leadership di estrema destra, alleate di ferro di Israele. Isolato all’esterno, costretto a confrontarsi in futuro con il nuovo inviato Usa per il Medio Oriente, Jared Kushner, genero di Trump e sostenitore dichiarato di Israele, Abu Mazen non può che indebolirsi all’interno dove già ora una fetta consistente della sua gente lo vorrebbe in pensione.

L’euforia in casa israeliana è incontenibile. Appena avvenuto il cambio della guardia alla Casa Bianca, il comune israeliano di Gerusalemme ha dato il via libera al progetto per la costruzione di 566 unità abitative nelle colonie ebraiche di Ramot, Pisgat Zeev e Ramat Shlomo, bloccato per lungo tempo da Barack Obama. «Dopo otto anni di grandi pressioni su una quantità di questioni, in primo luogo l’Iran e le colonie, sono certamente contento per il cambio di atteggiamento degli Usa», ha commentato ieri Netanyahu la telefonata con Trump. Poi, per placare parzialmente gli appetiti dei coloni, il premier ha aggiunto che questo «non è il momento di rivendicazioni eccessive». E’ il momento, ha detto, «di una diplomazia responsabile e razionale con gli alleati, diplomazia che rafforzerà la cooperazione e la fiducia fra il governo di Israele e la nuova Amministrazione di Washington». Il sindaco israeliano di Gerusalemme, Nir Barkat, da parte sua è pronto a mettere la mano sul fuoco. Trump, dice, fa sul serio quando afferma di voler trasferire l’ambasciata a Gerusalemme. Assicurazioni che non bastano a ministri e deputati della destra religiosa, come Uri Ariel e Naftali Bennett, che esortano a rilanciare subito la colonizzazione di Gerusalemme Est e della Cisgiordania. Per questo non hanno gradito la scelta di Netanyahu di rinviare a dopo l’incontro che avrà con Trump alla Casa Bianca, ogni decisione sull’annessione a Israele di Maale Adumim, la più grande delle colonie ebraiche, a Est di Gerusalemme. Annessione che, se realizzata, spezzerà in due la Cisgiordania.

Sullo sfondo c’è la tensione per la demolizione delle case arabe “illegali” in Israele. Ieri un convoglio di automobili di arabo israeliani, tra cui diversi deputati, ha percorso a velocità ridotta l’autostrada 6, per protestare contro la recente uccisione del beduino Yacoub Abu Al Kiyan da parte della polizia a Umm al Hiran, nel Neghev. Su questo è intervenuta anche Zahava Galon, leader del Meretz (sinistra sionista). «L’autopsia di Abu al Kiyan – ha detto – mostra come la polizia sia stata responsabile della sua morte e di quella del poliziotto Erez Levi». Per il premier Netanyahu invece l’uccisione del poliziotto è stato un “atto di terrorismo” compiuto da Abu al Kiyan.