C’è un mito che ancora resiste, fortemente radicato nel nostro immaginario collettivo: quello italiano fu un colonialismo dal volto umano. Lo sentiamo ripetere spesso: noi siamo stati diversi da francesi e inglesi. In realtà la diversità sta nel fatto che dopo la Seconda guerra mondiale l’Italia repubblicana perse i suoi territori d’oltremare e non attraversò il sanguinoso periodo della decolonizzazione di cui è stranoto nel Maghreb il milione di morti della guerra anti-francese in Algeria. Si attribuirono così al fascismo la paternità di crimini, stragi e sopraffazioni salvando l’idea di un’Italia coloniale mite e bonaria.
Italiani brava gente? Ecco la domanda che si fa Eric Salerno in apertura del suo libro, appena rieditato e aggiornato, Genocidio in Libia (Manifestolibri, pp. 150, euro 14). La risposta di Salerno è: italiani brava gente ma non tanto. Se si rammentano gli oltre 100mila morti libici nel Jihad per difendere la loro terra, i 13 campi di concentramento in Cirenaica e nella Sirtica, la deportazione dei libici verso l’Italia in condizioni spaventose, l’uso dei gas contro la popolazione civile.

Ma quanti conoscono davvero l’avventura coloniale italiana in Libia? E perché mai dovremmo studiarla? Visto che dobbiamo negoziare con i libici e con i loro sponsor internazionali non sarebbe male dare ogni tanto uno sguardo al passato. Ci sono considerazioni da tenere in mente quando con motivazioni opposte siamo criticati dal generale Khalifa Haftar o dalle fazioni libiche che sostengono Sarraj, proprio nel momento in cui la Turchia di Erdogan sembra volersi prendere un’ipotetica rivincita in chiave neo-ottomana sull’occupazione italiana del 1911.

IN QUESTA INDAGINE ci sostengono varie opere, degli storici come Giorgio Rochat e Angelo Del Boca, ma fu Eric Salerno, giornalista e scrittore, che nel 1979 fece conoscere al grande pubblico le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana. Stragi, l’uso dei gas processi farsa, impiccagioni e quell’estesa rete di campi di concentramento in Cirenaica dove morirono migliaia di libici.
Nel 2008 un altro libro di Salerno (Uccideteli tutti-Libia 1943, Il Saggiatore) aveva fatto un resoconto anche del campo di concentramento per ebrei istituito dal regime fascista in Tripolitania dove morirono 600 persone mentre le altre vennero trasferite ed eliminate dai tedeschi a Bergen-Belsen. Altro capitolo di storia ignorato.

OGGI, DECENNI E DECENNI dopo quelle stragi, l’Italia repubblicana finanzia i nuovi campi in Libia, negozia con i trafficanti di uomini e assolda i libici come guardiani dei migranti africani.
Il libro di Salerno è denso di interessanti episodi che ci aiutano a capire anche il presente. Per esempio nel 1928 il generale Graziani, secondo una relazione del ministero delle colonie, «catturò 500 cammelli e passò per le armi 50 uomini della tribù Gheddafa», uno di motivi storici per cui il leader Mohammed Gheddafi per decenni sollevò la questione del passato coloniale e la famosa vicenda dei danni di guerra. La controversia venne in gran parte chiusa dal trattato di amicizia e cooperazione dell’agosto 2008. È esilarante e istruttivo leggere il racconto di Salerno che si reca a Tripoli con Tommaso Di Francesco proprio nell’ottobre 2008 dove due anni prima, per il ventesimo dei raid Usa, avevano assistito al concerto di Lionel Ritchie e alle bizzarrie gheddafiane.

GHEDDAFI attende una delegazione italiana nella sua mega-tenda. Poche ore prima i libici avevano decorato con la massima onorificenza della Jamahiria la Grande Al Fatah il senatore a vita Giulio Andreotti, l’ex premier Lamberto Dini, l’ex ministro Giuseppe Pisanu, Vittorio Sgarbi e alcuni storici e giornalisti, tra cui lo stesso Salerno e Valentino Parlato del Manifesto, per il loro «contributo all’amicizia e alla riconciliazione tra le due nazioni». Fasce verde e medaglie furono recapitate ad alcuni importanti assenti: il premier Silvio Berlusconi, il ministro degli Esteri Franco Frattini e i loro predecessori, Romano Prodi e Massimo D’Alema. Insomma Gheddafi aveva in pratica premiato tutta la classe dirigente della Repubblica, intellettuali e giornalisti. Il Colonnello, salito al potere nel 1969, pronunciò in quel momento una frase che lui avrebbe voluto diventasse storica: «Dobbiamo restare per sempre uno a fianco dell’altro». Nell’agosto 2010, accolto in pompa magna, venne in visita a Roma per firmare un altro accordo, questa volta da dozzine di miliardi di euro, e un’intesa sulla sicurezza e la cooperazione.

POCHI MESI DOPO gli italiani rinnegarono tutto e si schierarono con Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti nei bombardamenti contro Gheddafi. Dati i precedenti chiunque avrebbe capito che l’Italia avrebbe dovuto optare per la neutralità, invece si scelse di rinnegare il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo.
È vero che non ci possiamo fidare dei libici, che trattare con le fazioni e milizie appare quanto mai azzardato: ma perché mai i libici dovrebbero fidarsi di noi dopo quello che gli abbiamo combinato?
È interessante sottolineare quanto dice un regista libico, Khalifa Abbo Khraisse. Migliaia di libici persero la vita durante la colonizzazione italiana ma molti altri collaborarono con i fascisti e combatterono con gli italiani in Etiopia.

Di questo in Libia non si parla mai, come non si parla dei crimini commessi contro gli ebrei: in realtà alcune delle famiglie libiche più ricche devono la loro prosperità a quel periodo quando incamerarono soldi e immobili degli ebrei costretti a lasciare la Libia, così come dopo misero le mani sui beni degli italiani quando furono cacciati da Gheddafi.

Ma c’è di più. I soldi degli italiani a Gheddafi come danni di guerra non andarono a compensare le vittime dei campi di concentramento italiani ma i loro carcerieri. Da qui furono poi gettate le basi per creare nuovi campi finanziati dall’Italia per metterci i migranti africani con l’aiuto dei collaborazionisti libici da noi lautamente pagati. Ecco cosa ci insegna la storia.