La sinistra spagnola comincia a dar per scontata la sconfitta alle elezioni di dicembre. Ovviamente nessuno lo dice in questi termini, ma è evidente che dopo che Podemos ha sbattuto la porta in faccia a Izquierda Unida la settimana scorsa e ha deciso di correre da sola senza allearsi con il principale partito storicamente alla sinistra dei socialisti, e dopo la sonora batosta alle elezioni catalane, un bagno di realismo doveva arrivare.

E puntuale martedì Carolina Bescansa (nella foto), cofondatrice e segretaria per il programma di Podemos, ha dichiarato che oggi non sono «nelle condizioni di vincere». Sondaggio dopo sondaggio Podemos viene data in caduta libera. Un anno fa sembrava dovesse essere primo o secondo partito, mentre oggi è inchiodata intorno al 15%, dopo Popolari (sotto il 30%), socialisti e Ciutadanos, la destra con la faccia pulita e telegenica, in continua crescita.

Complice la volontà di annacquare il messaggio dirompente con cui erano entrati a gomitate nel panorama politico spagnolo ai tempi delle europee, il tono spesso sprezzante dei suoi leader più visibili (soprattutto Pablo Iglesias), l’ascesa di Albert Rivera, leader di Ciutadanos, e forse, in piccola parte, l’incapacità di trovare un accordo con Izquierda Unida (il suo candidato, Alberto Garzón, si è rifiutato di entrare nelle liste di Podemos a titolo individuale nonostante il corteggiamento), hanno fatto perdere mordente a Podemos. In maniera così preoccupante che, sebbene tutti i sondaggi dicano che il duetto preferito da un terzo degli spagnoli per il prossimo governo spagnolo sarebbe un bicolore Psoe-Podemos, molto più che qualsiasi altra combinazione possibile, Podemos non si vede affatto alle porte della Moncloa, la residenza del presidente del governo. Bescansa sostiene che l’accordo con il Psoe si farà solo se prenderanno più voti di loro, ipotesi al momento alquanto remota. La strategia disperata di Podemos è di convincere i socialisti scontenti che la vera alternativa sono loro. Le uniche altre opzioni possibili di governo sono un accordo Pp-Ciutadanos (come nella comunità di Madrid) o Psoe-Ciutadanos (come in Andalusia).

La tranvata catalana, che Podemos non si aspettava e che ha interpretato attribuendola al fatto che gli elettori non fossero riusciti a trovare il loro simbolo (andavano in coalizione con altri partiti storici della sinistra catalana, fra cui Izquierda Unida), ha provocato le dimissioni della segretaria generale catalana Gemma Ubasart, che verrà sostituita solo dopo le elezioni. È stato invece proprio l’eccesso di protagonismo dei leader nazionali di Podemos e la scarsa comprensione della spinosa politica catalana ad aver ostacolato il successo di Catalunya Sí Que Es Pot.

Nel frattempo proprio ieri Alberto Garzón ha presentato la sua candidatura per la piattaforma Ahora en común, lo spazio esterno sia a Podemos che IU dove fino all’ultimo IU ha lottato per portare anche Podemos. L’idea, che Garzón e IU mantengono, è di uno spazio comune per la sinistra in cui si possano presentare candidature diverse ma che condividano alcuni punti programmatici chiave, sul modello delle liste vincitrici in molti comuni spagnoli a maggio, come Barcellona o Madrid. Data la situazione, Garzón ha ben chiaro che l’orizzonte è molto più lontano del 20 dicembre e che non farà la guerra a Podemos. Fra le dieci proposte, il lavoro garantito (di cui Garzón ha parlato a questo giornale qualche settimana fa), un investimento in ricerca e sviluppo per frenare la deindustrializzazione, uno stato federale, l’ecologia, il femminismo e la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, con una riforma fiscale progressiva che ponga fine ai paradisi fiscali, inserendo in costituzione la proibizione delle privatizzazioni dell’acqua e dell’energia. «I partiti sono diventati imprese che vendono prodotti», ha detto. «Dobbiamo recuperare l’elemento culturale della politica». E ha concluso: «È impossibile sostenere il capitalismo sul nostro pianeta per molto altro tempo».