La minaccia della Dad torna sulla scuola italiana, ma solo per poche ore. Dopo la circolare ministeriale che ripristinava la didattica a distanza pubblicata lunedì sera, ieri i ministeri della Salute e dell’Istruzione hanno compiuto un nuovo dietrofront, tornando a prevedere la didattica in presenza per le classi con uno o due casi positivi. A far cambiare idea al governo sembra essere stato l’aiuto del generale Figliuolo, che ha messo a disposizione la struttura commissariale per i tamponi necessari a garantire la continuità scolastica. Gli alunni infatti potranno tornare in presenza, ma solo dopo aver effettuato un test rapido immediatamente, con un’ulteriore verifica cinque giorni dopo.

La convulsa giornata di ieri si era aperta con una circolare, anticipata da Repubblica e Stampa, che restituiva ai dirigenti scolastici la possibilità di mandare a casa le classi dopo il primo caso positivo.

SECONDO IL TESTO firmato dal dg Gianni Rezza, le precedenti indicazioni anti-Dad «erano state assunte con riferimento alla situazione epidemiologica esistente, da rivalutare in caso di aumento della circolazione virale o di altra rilevante modifica incidente sulla stessa emergenza epidemiologica». Erano adatte per una fase di «bassa marea», non per un’ondata montante, come avevano sostenuto da subito i sanitari sul campo. Inoltre, l’attuazione della circolare anti-Dad si era scontrata anche con le difficoltà organizzative. Le Asl sono sotto organico per la scadenza dei contratti a termine del personale di rinforzo e non riescono a rispondere tempestivamente alle richieste di intervento delle scuole. L’analisi delle catene di trasmissione – il contact tracing – e l’attività diagnostica moltiplicata dal nuovo protocollo (spesso ricaduta sulle tasche delle famiglie) richiedono tempo e risorse che il virus non concede.

Il dietrofront però contraddiceva una promessa solenne del ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi: «Mai più Dad», come aveva detto più volte in estate. Perciò, la circolare di lunedì sera aveva scatenato le ire dei gruppi di studenti, genitori e docenti contrari alle lezioni al pc. Durissimo il comitato Priorità alla Scuola: «Si torna indietro di un anno, senza tenere in nessuna considerazione la mutata situazione epidemiologica, non paragonabile ai numeri del 2020, e che non tiene conto del livello di vaccinazione tra personale scolastico (altissimo) e studenti over 12 (molto elevato)». «Nulla è stato fatto – proseguiva il comitato – per potenziare le risorse per i tracciamenti e la medicina territoriale, nulla per introdurre tamponi salivari».

LA FIGURACCIA del ministro Bianchi, che rischiava di ricadere su tutto l’esecutivo, ha indotto i ministri a cercare una soluzione nel giro di poche ore, trovandola infine nel generale Figliuolo. La circolare veniva dunque annullata nel pomeriggio di ieri «in considerazione della sopravvenuta disponibilità manifestata dalla struttura commissariale» a garantire i test «per la verifica della positività dei soggetti individuati come contatti di una classe/gruppo, da effettuarsi in tempi estremamente rapidi, tali da garantire il controllo dell’infezione». Tamponi per tutti e niente Dad, almeno fino al terzo caso positivo. Abbiamo scherzato.

Rimediato alla brutta figura, il problema di garantire il diritto all’istruzione in tempo di pandemia non è risolto. Il protocollo anti-Dad, infatti, non aveva fallito solo per l’inadeguatezza delle Asl.

LE REGOLE INTRODOTTE il 3 novembre, con i tamponi a ripetizione ma gli alunni in classe, avevano fatto emergere una realtà diversa da quella immaginata al ministero della Salute, secondo cui le scuole sono relativamente sicure grazie a finestre aperte e mascherine. Al contrario, con la variante Delta molti bambini risultano positivi solo al secondo tampone, dopo aver avuto il tempo di contagiare altri compagni. È una novità rispetto al passato. «Osserviamo focolai in circa un quarto delle classi in cui sono segnalati casi positivi» spiega un’epidemiologa di una Asl romana. I casi riguardano soprattutto le scuole elementari, dove gli alunni non sono vaccinati. Situazione diversa nelle scuole medie e superiori, dove i vaccinati sono circa il 70% e il rischio è più basso. «Stabilire un protocollo unico che si applichi dai 6 ai 19 anni di età è stato un errore» chiosa l’esperta.

IL PROBLEMA È CHE la valutazione del rischio di contagio nelle scuole italiane sembra la ricerca del sacro graal. Dopo due anni di pandemia si va ancora a tentativi, seguendo più le suggestioni aneddotiche che le evidenze scientifiche a disposizione (pochissime). I ministri dell’istruzione e della salute hanno più volte promesso studi mirati per accertare i rischi che corrono insegnanti e alunni. Lo fece per prima la ministra Azzolina un anno fa, senza risultato. Con l’avvio del nuovo anno scolastico, il ministro Bianchi e l’Iss avevano lanciato un programma di screening basato su test salivari periodici su 110 mila alunni di scuole primarie e medie. Ma a tre mesi dall’inizio della scuola anche di questo monitoraggio si sono perse le tracce.