Gli effetti del cambiamento climatico potrebbero diventare una occasione di politica economica, alla condizione che si trattino realmente le questioni sottese al cambiamento climatico stesso. Il consuntivo sulla riduzione degli inquinanti ambientali è insoddisfacente, ma se dobbiamo fare delle considerazioni critiche delle esperienze passate sul controllo dei fenomeni climatici, dobbiamo ricercarle non tanto sul come la tecnologia può assicurare il raggiungimento degli obiettivi, piuttosto sulle condizioni applicative.

Le politiche adottate puntano alla distribuzione degli obbiettivi, affidandole al buon cuore dei vari paesi. In parallelo i paesi produttori di petrolio continuano a incontrarsi per valutare le prospettive sulla produzione e sui prezzi del petrolio. I paesi Opec hanno recentemente immaginato un raddoppio dei consumi dell’energia entro il 2040, con una crescita di gas e petrolio del 25% entro il 2030. Ma anche altre istituzioni, meno «interessate» convergono verso l’ipotesi di consumi energetici crescenti.

Nei secoli passati i cambiamenti economico-tecnologici che hanno accompagnato il passaggio dal legno al carbone e poi al petrolio, hanno segnato i caratteri della struttura produttiva di quelle rivoluzioni industriali. La storia dovrebbe ricordare i tratti delle rivoluzioni necessarie, incominciando a mettere a fuoco che c’è un ruolo dei paesi consumatori dei combustibili fossili, così come c’è un ruolo dei paesi produttori che, contrariamente al passato, in assenza di provvedimenti specifici, dovrebbero pagare il prezzo della rivoluzione tecnologica-energetica. In ultima analisi, i paesi produttori di petrolio e gas sarebbero le prime vittime della rivoluzione tecnologica.

Se consideriamo solo i Paesi aderenti all’Opec, per i quali il petrolio rappresenta almeno il 25% delle esportazioni totali e il 10% del Pil, con punte del 100% per alcuni paesi, sembrano evidenti i problemi che sarebbe necessario affrontare. Oltre a questi Paesi troviamo la Russia, cioè il secondo produttore e consumatore di combustibili fossili, con un bilancio positivo nelle esportazioni.

Altri Paesi, invece, non dispongono nemmeno dei mezzi finanziari e/o le competenze tecniche per realizzare qualsiasi intervento a favore delle fonti rinnovabili. Coinvolgere tutti questi Paesi dovrebbe essere la prima correzione da adottare in sede di programmazione internazionale. Servirebbe una programmazione economica coerente con l’obiettivo di sostituire le fonti energetiche in uso, cioè uno sviluppo capace di coinvolgere alcuni miliardi di abitanti (un’ operazione eccezionale).

La dimensione del problema potrebbe essere una opportunità, oppure un ostacolo. Un’opportunità se la pluralità delle soluzioni consente di affrontare le diverse esigenze, trovando delle opzioni per le diverse realtà; un ostacolo se la complessità della gestione collettiva del cambiamento tecnologico lasciasse inalterate le ambizioni egemoniche di alcuni stati a livello internazionale. La programmazione della rivoluzione ambiental-energetica non dovrebbe permettere comportamenti speculativi. La discussione Cop 21 non riguarda solo il controllo climatico e l’introduzione di nuove tecnologie energetiche, ma attraversa i grandi cambiamenti sociali ed economici e, quindi, politici connessi con quella rivoluzione. Si tratta di una rivoluzione che una società moderna ed avanzata deve organizzare e programmare, come è avvenuto nelle precedenti rivoluzioni industriali. Servirebbe un organismo internazionale capace di pianificare il cambiamento delle strutture connesse a quella rivoluzione, affiancandosi al ruolo delle attuali organizzazioni che si occupano dei problemi ambientali prevalentemente dal punto di vista scientifico.

Allargare la partecipazione a tutti gli attori e valutare l’implementazione della rivoluzione tecnologica-industriale, è centrale, se si vuole effettivamente controllare le emissioni inquinati.