L’Iraq esplode in un nuovo conflitto confessionale tra sciiti e sunniti, con l’avanzata dei jihadisti dell’Isil (Stato islamico in Iraq e Levante), presenti anche nella Siria devastata dalla guerra civile e che subirà ripercussioni dalla battaglia nel vicino Iraq. Michel Kilo, scrittore siriano membro del comitato politico della Coalizione nazionale siriana e presidente dell’Unione dei democratici siriani, di passaggio a Parigi, dove ha vissuto dopo i suoi primi tre anni di prigione in Siria (ne farà altri tre dal 2006 al 2009, per aver proposto una normalizzazione di relazioni tra Siria e Libano), ha uno sguardo più che amaro. Di cultura marxista, è con pudore che evoca l’essere cristiano: «una volta, in Siria, nessuno dichiarava la propria religione». Ha negoziato a Ginevra come membro della delegazione dell’opposizione.

Il conflitto in Iraq si riperquoterà sulla guerra in Siria?

Il conflitto si allarga. Al Maliki, che controlla la ricchezza dell’Iraq e ha un esercito di un milione di uomini, ha pensato di avere la forza di trascurare la richiesta di spazio da parte delle tribù e della popolazione sunnita. Noi abbiamo sempre avvertito l’occidente che se ci sarà un allargamento del conflitto siriano sarà a vantaggio degli integralisti. Non abbiamo chiesto l’intervento, ma i mezzi per difenderci, contro il regime siriano e contro gli integralisti. Ma ora non ce la facciamo a contrastarli, gli integralisti hanno armi e soldi. E se Arabia saudita e altri danno soldi e armi, come si può pensare che gli Usa siano estranei a questo, visto che dirigono la crisi? L’attacco in Iraq è stato pianificato e poi sarà la Siria a cadere nelle mani degli estremisti. Noi abbiamo sempre detto all’occidente che c’è in Siria una popolazione che lotta contro il regime e che sarà questa stessa popolazione ad eliminare i terroristi: ci sono stati sette mesi di rivoluzione pacifica, che chiedeva libertà e riforme sotto la presidenza di Bachar. L’accordo di Ginevra è ormai lettera morta. La Russia aveva firmato il documento in un momento in cui il regime, che sostiene, aveva subìto delle sconfitte. Ma adesso non ci sarà nessun passo avanti della comunità internazionale se la situazione non cambia sul terreno, se l’opposizione democratica e moderata non avrà vittorie sul campo.

Come giudica l’incertezza del comportamento Usa?

C’è da chiedersi: gli Usa utilizzano il conflitto in Siria per obbligare l’Iran a cambiare strategia? Perché l’opposizione democratica e moderata in Siria non è stata aiutata? Gli Usa utilizzano il conflitto in Siria a vantaggio di Israele? Condoleeza Rice, dopo l’Iraq, aveva parlato di «caos creativo». In Siria c’è in effetti un caos creativo, che cambierà equilibri e regimi in Medio Oriente. Il piano del regime di trasformare la rivoluzione in un conflitto confessionale è riuscito. Avevamo messo in guardia gli Usa: questo distruggerà la regione. Ma non si può avere fiducia negli Usa, che hanno trascurato i rischi di deriva integralista della Siria, pensando forse di poter utilizzare questo in un conflitto regionale interconfessionale. Oggi ci siamo, con la situazione in Iraq. Il conflitto diventerà non solo regionale, ma internazionale, tra sciiti e sunniti. E l’Iran sarà il bersaglio. È questa la guerra che Israele voleva contro l’Iran. Gli Usa hanno rifiutato e scelto la guerra per procura, per risparmiare soldi e uomini. Il grande vincitore sarà Israele. E se la guerra si deforma in guerra interconfessionale non ci sarà mai uno stato di Palestina.

L’Europa è assente?

L’Europa non esiste, è una nozione astratta. Ma subirà gli effetti diretti di questa guerra. Ci sono milioni di siriani rifugiati e che, se ci sarà una vittoria del regime o degli integralisti, resteranno in esilio. Che farà la Turchia, con 1,5 milioni di siriani? Il Libano, dove il 40% della popolazione proviene dalla Siria? I siriani oggi sono dappertutto, in Marocco, Yemen, Francia, Usa, persino Islanda. Molti sono morti in mare, cercando un rifugio. Hanno perso tutto. Dove vanno? È stato permesso di giocare la carta confessionale, che distrugge tutto. Tra morti, deturpati, torturati, perseguitati, siamo a 1,5-2 milioni di vittime in Siria. Cosa resterà di una popolazione che ha subìto questa violenza? Forse è la fine di un popolo.