Almeno 120 mila persone sono scese in piazza domenica a Tokyo per protestare contro le proposte di legge volute dal governo di Shinzo Abe per allentare i vincoli di ingaggio delle Forze di autodifesa nazionale – l’esercito giapponese – nelle missioni all’estero.

Persone di tutte le età, comprese famiglie con bambini, hanno invaso il viale che arriva al cancello principale del parlamento nazionale cantando slogan come «No alla guerra», «Proteggiamo la costituzione», «Abe dimettiti». In tutto il paese, scrivono i media nazionali, si sono tenute oltre 300 manifestazioni. Tokyo è stata però il vero fulcro della protesta: secondo alcune fonti, oltre 350mila persone, ben oltre il record dei 200mila riunitisi del luglio 2012 contro il nucleare a poco più di un anno dall’incidente di Fukushima.

La manifestazione giunge al termine di oltre due mesi di proteste continue sotto il parlamento nazionale contro le modifiche al trattato di cooperazione e sicurezza tra Usa e Giappone su cui i due paesi hanno trovato un accordo a maggio durante una visita ufficiale del primo ministro giapponese a Washington. Le proposte di legge, accusano opposizioni, costituzionalisti e società civile, violano l’articolo 9 della costituzione che sancisce la rinuncia del Giappone alla guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali.

Al centro del dibattito ci sono: una proposta di legge che agevolerebbe l’invio di truppe all’estero con compiti di sostegno logistico a eserciti stranieri in caso di missioni Onu e una serie di provvedimenti che permetterebbero alle forze giapponesi di ricorrere al diritto all’autodifesa – quindi di rispondere al fuoco avversario – in caso di attacco a forze alleate. Se approvate, le modifiche potrebbero portare il Giappone nuovamente in guerra a 70 anni esatti dalla resa al termine della Seconda guerra mondiale.

«Siamo qui riuniti per dire no a queste leggi ridicole, stupide e pericolose. Facciamo cadere Abe e il suo governo», ha detto di fronte ai manifestanti Ichiro Ozawa, veterano della politica giapponese, oggi guida di un piccolo partito di opposizione. Gli fanno eco le parole di Katsuya Okada, leader del partito democratico, primo partito di opposizione: «Dobbiamo fare in modo che il governo Abe si accorga finalmente che della rabbia dell’opinione pubblica.

Dobbiamo lavorare insieme per far naufragare le proposte di legge». In questo senso va letto l’incontro tra partito democratico e partito per l’innovazione – quarta forza politica nazionale – di lunedì. Se l’opposizione coesa dovesse bloccare i provvedimenti alla Camera alta, questi dovrebbero tornare nel primo ramo del parlamento per essere ridiscussi.

Il governo ha finora ignorato le proteste e più volte ribadito l’assoluta necessità delle riforme in un contesto internazionale sempre più complesso e imprevedibile. «Le nuove leggi di sicurezza – ha più volte detto lo stesso Abe – sono necessarie per proteggere la vita dei cittadini e prevenire la guerra». Ma Tokyo è in una fase delicata.

La grande partecipazione è il segno più evidente del crollo dei consensi del governo conservatore di Abe, eletto in seguito a una campagna sui temi della ripresa economica ma incapace di garantire alla terza economia mondiale l’uscita da 20 anni di stagnazione.