Ci sono molte ragioni per cui, come gay, lesbiche, bisessuali, transessuali e queer, prendiamo posizione contro la «riforma» del lavoro. In primo luogo, ci preoccupa la manomissione delle garanzie contro i licenziamenti illegittimi sancite dall’articolo 18: la legge-delega lascia al Governo un margine di discrezionalità incomprensibilmente ampio, nulla dice sulla salvaguardia del reintegro nel posto di lavoro nel caso di licenziamento discriminatorio. […]Non solo: se anche le attuali tutele contro il licenziamento discriminatorio fossero formalmente conservate, la scomparsa della possibilità del reintegro per le altre forme di licenziamento illegittimo priverebbe l’articolo 18 dell’attuale efficacia deterrente e incoraggerebbe l’esercizio di un potere arbitrario da parte del datore di lavoro.

La riforma Fornero ha già indebolito in modo considerevole questa funzione preventiva dell’articolo 18, ma ha lasciato al giudice del lavoro la possibilità di ordinare il reintegro in un numero più limitato di casi. Se questa possibilità fosse cancellata definitivamente, la discriminazione potrebbe facilmente essere nascosta dietro ragioni disciplinari o economiche, la cui insussistenza sarebbe punita con un semplice risarcimento monetario. D’altronde sappiamo bene quanto sia difficile per la lavoratrice o il lavoratore che ritiene di essere discriminata/o fornire, come chiede la legge, quegli «elementi di fatto idonei a fondare, in termini gravi, precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori» (Dlgs. 216/2003, art. 4.4). Non sarà un caso che quella che ha colpito l’avv. Carlo Taormina nell’agosto scorso sia stata la prima condanna in Italia per discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, anche se la norma esiste da 11 anni. […]

Vale la pena di ricordare che la rilevanza della discriminazione nei confronti delle persone glbtq in ambito lavorativo è dimostrata da numerose indagini. Secondo la Lgbt Survey condotta nel 2012 dall’Agenzia europea dei diritti fondamentali, il 20% dei/delle partecipanti italiani, nel corso dell’anno precedente alla ricerca, ha subìto in prima persona episodi di discriminazione nella ricerca di un’occupazione o sul posto di lavoro in ragione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere. Un’indagine svolta dall’Istat nel 2011, inoltre, ha rivelato che il 25% degli/lle italiani/e considera legittimi i comportamenti discriminatori nei confronti delle persone trans, il 41% non vuole che una persona omosessuale sia insegnante della scuola primaria e il 28% trova inaccettabile che una persona gay o lesbica sia medico. Il 29,5% delle persone omosessuali intervistate dall’Istat, infine, ha riferito di essere stato discriminato nella ricerca di un lavoro e il 22% ha subito una discriminazione sul lavoro.

Ha scritto bene Gianni Ferrara sul manifesto che l’articolo 18 «libera la lavoratrice e il lavoratore dall’arbitrio del datore di lavoro, quell’arbitrio che, con l’incombenza del licenziamento ad libitum, disporrebbe in assoluto delle condizioni di vita di un essere umano». È, in altre parole, uno strumento essenziale per garantire una «esistenza libera e dignitosa» dentro e fuori i luoghi di lavoro, per affermare l’insopprimibile diritto all’autodeterminazione che abbiamo messo a fondamento del nostro essere movimento. Per questo ci appelliamo alle altre associazioni del movimento glbtq perché prendano la parola insieme a noi: l’attacco all’articolo 18 è un attacco a tutte/i noi.