Oltre un secolo fa, nel settembre del 1915, 36 delegati di altrettanti paesi europei rivolsero ai «proletari d’Europa» un appello all’unità «al di sopra delle frontiere, al di sopra dei campi di battaglia, al di sopra delle campagne e delle città devastate»: il Manifesto di Zimmerwald contro la guerra imperialista. Con lo stesso spirito, si potrebbe dire, hanno sfilato ieri a Roma oltre 3.000 persone. Solo che, nella società del frammento, della precarietà del lavoro e delle coscienze, costruire un fronte internazionale che si opponga alla «rossa moneta dei profitti di guerra», macchiata dal sangue dei popoli, non è impresa facile. E così, anche nell’area degli «attivisti radicali, antimilitaristi, sindacalisti e organizzazioni della sinistra radicale» che hanno animato la giornata di mobilitazione nel 25mo anniversario della prima Guerra del Golfo, da Milano a Sigonella, da Trieste a Vicenza e a Roma, si notavano le assenze.

Un risultato, tuttavia, ben più che testimoniale, declinato in tutti i fronti che si oppongono alla guerra di IV generazione: una guerra di armi e di menzogne contro i popoli che custodiscono le risorse (dice Davide della rete Caracas Chiama); una guerra ai diritti e contro i territori (urla al microfono Nicoletta Dosio del movimento No Tav); una guerra «senza armi, ma di una legalità che uccide, lasciandoti senza casa e lavoro», afferma Chiara, che vende il giornale Resistenza.

La giornata di mobilitazione è stata lanciata lo scorso 21 novembre dalla Piattaforma Sociale Eurostop: per scardinare le politiche di austerity imposte da due «apparati sovranazionali», Ue e Nato, che chiudono gli spazi di agibilità democratica istituzionalizzando politiche securitarie e instaurando uno stato d’eccezione permanente. «E così, se vai nel metro, invece dei treni che mancano ci trovi l’esercito, perché le spese di guerra non si tagliano, ma quelle sociali sì», dice Renato, un insegnante di Città futura.

Dopo le bandiere dell’Usb che aprono, numerose, il corteo, marciano partiti, reti e movimenti territoriali, alcuni aderenti alla Piattaforma, altri no: Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti d’Italia, Partito dei Lavoratori, Rete dei Comunisti, Rete No War, Noi saremo tutto, Ross@, Comitati dei migranti e per la Palestina libera. A scandire gli slogan, la creatività di un gruppetto di clown e il ritmo della Murga. «La cosiddetta guerra al terrorismo si serve delle paure, ma non risolve i problemi», dice Nunzio di Cinecittà Bene comune. Due giovanissime reggono cartelli con i costi della guerra e una foto di Gheddafi massacrato. Sfilano i «Ribelli di Centocelle, Alessandrino e Quarticciolo», c’è lo striscione della «Musica popolare contro la guerra», quello contro il Muro dell’apartheid e Con la Palestina nel cuore, e quello dell’Asia, l’Associazione inquilini.
Jim, che vive qui da tanti anni, ma viene dall’Uganda, non appartiene a nessun gruppo «Sono contro la guerra – dice – ma anche contro tutto quel che le sta intorno: le basi militari, le fabbriche di armi, i sistemi di sicurezza israeliani, le nuove forme di colonialismo». Un altro pezzetto di corteo si dichiara «contro i nazisti ieri, oggi, sempre». Ci sono vecchi militanti, ma anche molti giovanissimi. Iacopo ha 14 anni, dice di leggere il manifesto e sostiene che «bisogna bloccare il commercio delle armi». Hieu, un suo coetaneo di origine vietnamita afferma: «La guerra è inutile, per risolvere i conflitti si possono usare le parole».