Per scongiurare la vittoria di Gustavo Petro alle presidenziali del 29 maggio in Colombia, le forze conservatrici sono pronte a tutto. Dopo i brogli elettorali che hanno segnato le parlamentari del 14 marzo scorso, senza peraltro impedire la vittoria della sua coalizione, il Pacto Histórico, le destre hanno scatenato una delle campagne più sporche di cui si abbia memoria.

UNA STRATEGIA portata avanti con la benedizione del presidente Iván Duque che, malgrado la sua carica dovrebbe impedirgli di interferire nella campagna elettorale, non perde occasione per attaccare il candidato di sinistra, senza nominarlo.

Come quando, ricordando la propria devozione alla Vergine di Chiquinquirá, patrona della Colombia, si è detto sicuro della sua protezione «affinché la nostra democrazia non cada negli artigli della demagogia e del populismo».

Così, dal primo febbraio al 13 aprile, un discorso su tre di Duque – secondo il calcolo del sito di notizie La Silla Vacía – ha avuto come bersaglio una delle proposte della campagna di Petro, a cominciare da quella di una moratoria dello sfruttamento degli idrocarburi: «Forse non sanno, quanti promuovono queste idee, che questo settore rappresenta la maggiore fonte di attrazione dei capitali esteri, di royalty e di imposte».

Stessa sorte per le proposte del candidato di sinistra di rivedere le concessioni minerarie, di sciogliere la Esmad (lo Squadrone mobile antisommossa della polizia colombiana tristemente celebre per le sue violazioni dei diritti umani), di modificare il sistema delle pensioni per renderlo a maggioranza pubblica, di riformare il sistema di salute.

MA È STATA LA VISITA di suo fratello Juan Fernando ad alcuni detenuti rinchiusi nel carcere La Picota, l’8 aprile, a scatenare la più violenta offensiva contro il candidato del Pacto Histórico. P

oco importa si trattasse di una visita della Comisión Intereclesial de Justicia y Paz incaricata di accertare il rispetto dei diritti umani nelle carceri: le destre ne hanno approfittato per accusare Petro di negoziare uno sconto di pena per i politici condannati per corruzione in cambio di voti.

E tanto più furibondi sono stati gli attacchi quando Petro si è richiamato al concetto di perdono sociale di Jacques Derrida, benché non volesse certo proporre riduzioni di pena per i corrotti, indulti o amnistie, bensì indicare nella riconciliazione la via per sanare le ferite provocate dalle molteplici tragedie sofferte dal paese.

«IL PERDONO SOCIALE – ha spiegato su Twitter – non è impunità, è giustizia riparativa. Non è occultamento, è un processo di verità storica. Non è né giuridico, né divino, è il perdono terreno della cittadinanza. Non lo ordina il presidente, ma la società».

Eppure, per tutta la settimana, Petro ha dovuto ripetere in tutte le salse che «non c’è mai stata un’offerta di riduzione di pena né mai ci sarà».

Il polverone sollevato dalla visita del fratello a La Picota ha avuto, però, anche un’altra conseguenza: indurre Petro a chiedere alla senatrice e sua alleata storica

di fare un passo indietro in attesa di risolvere i problemi giudiziari in cui è coinvolta.

Una decisione dolorosa per il candidato presidenziale, che aveva voluto con sé a tutti i costi la senatrice, nota per aver mediato tra le Farc e il govero Uribe a favore della liberazione di politici sequestrati dalla guerriglia, ma accusata dalla Procura di aver tratto benefici economici e politici dai suoi vincoli con Hugo Chávez e con i comandanti delle Farc, oltre che di aver presentato a Maduro l’imprenditore colombiano Alex Saab, ora detenuto negli Stati Uniti per corruzione.

BENCHÉ CÓRDOBA abbia sempre negato ogni accusa, un’eventuale condanna giudiziaria nelle prossime settimane sarebbe stata per la campagna di Petro un colpo troppo duro.