«L’incappucciato si afferra i genitali in segno di sfida alle forze dell’ordine, ferme a 150 metri. Grida insulti, mostra l’arma da fuoco». Così il giornalista della Bbc descrive quel che ha visto durante le proteste nello stato Merida, in Venezuela. Scene a cui ha assistito anche il manifesto. La Guardia nacional bolivariana ha l’ordine di non sparare, si ripara con gli scudi, a volte prende fuoco per le molotov tirate fra i piedi dagli oltranzisti. Difficile dire quanti siano gli studenti che partecipano a questo tipo di protesta, commenta il giornalista. Dalle testimonianze dei cittadini, a controllare le barricate violente (le guarimbas), vi sono anche delinquenti comuni che taglieggiano e rapinano chi vuol tornare a casa. Di certo non sono «pacifici» come pretende la Cnn, che d’altro canto – come fanno tutte le testate – fornisce ai suoi inviati casco, maschera e giubbotto antiproiettile. Dal Merida viene lo studente arrestato con l’accusa di aver inquinato le acque della zona versandovi litri di gasolio. Le università venezuelane hanno sempre fornito l’innesco ai conflitti sociali, e in parlamento siedono oggi ex leader studenteschi, sia di destra che di sinistra. L’irruzione del socialismo bolivariano ha d’altronde scompaginato la stessa divisione tra destra e sinistra che esisteva nella IV repubblica, evidenziando la profonda crisi di rappresentanza dei partiti tradizionali. Allora, durante le democrazie nate dal patto di Punto Fijo, la compagine di centrodestra (Copei) e quella di centrosinistra (Ad) si spartivano il potere, da cui erano esclusi sia il Partito comunista che i militari progressisti, a cui era proibito votare. E fu durante il governo del socialdemocratico Carlos Andrés Perez, che seguì le ricette del Fondo monetario internazionale, che si verificò la gigantesca rivolta della popolazione allo stremo, nel 1989 (il «caracazo»). E fu Pérez a ordinare all’esercito di sparare sulla folla, provocando migliaia di morti. Su quel tipo di ferita si è coagulato un nuovo blocco sociale alternativo rappresentato dall’allora tenente colonnello Hugo Chavez, uscito dal carcere dopo aver diretto una ribellione civico-militare.
L’arco di opposizione – la Mesa de la unidad democratica (Mud) – va dai partiti tradizionali della IV repubblica, all’estrema destra, ai rimasugli del gruppo armato Bandera Roja che ha rifiutato il chavismo, all’ibrido di Un nuevo tiempo, che si dice di centrosinistra e cova avanguardie oltranziste. Sono in campo due modelli di paese: quello del socialismo bolivariano che, pur con tutti i suoi limiti, ha messo in causa i rapporti di proprietà, e un altro opposto e variamente parametrato sui paradigmi delle democrazie «modello Fmi». Lo scontro ha finora prodotto 37 morti e danni per milioni di dollari alle strutture pubbliche (scuole, biblioteche, parchi). Dal 12 febbraio, sono stati scoperti vari arsenali destinati ai paramilitari, e diversi cittadini stranieri sono stati arrestati a seguito delle intercettazioni telefoniche a un giornalista di Rctv (l’emittente coinvolta nel colpo di stato del 2002). «In un copione scritto a Washington, i media svolgono un ruolo simile a quello che hanno avuto nei massacri del 1994 in Ruanda», hanno denunciato diverse reti, associazioni di giornalisti e «comunicatori sociali per la pace». Nel comunicato finale, i giornalisti hanno invitato i colleghi delle testate internazionali e l’Organizzazione internazionale dei media comunitari a recarsi nel paese per contrastare «il terrorismo mediatico».
Ieri, il Vaticano ha comunicato di essere disposto e anzi desideroso di mediare tra governo e opposizione, come ha indicato la missione di pace della Unasur. «Per noi va bene – ha detto Maduro – ma il mediatore perderà il suo tempo, perché l’opposizione rifiuterà il dialogo». Gli oltranzisti capitanati da Maria Corina Machado (grande sponsor degli Usa) hanno infatti già risposto: niente dialogo finché non sarà liberato il leader di Voluntad popular, Leopoldo Lopez, in carcere con l’accusa di associazione a delinquere con finalità di terrorismo. Il loro obiettivo è quello di ottenere, con ogni mezzo, la rinuncia del «dittatore Maduro, servo dei cubani». Una dittatura – dice una vignetta che impazza in Venezuela – è quella in cui puoi girare in macchina con un cartello di «S.o.s Venezuela» (la campagna di opposizione) senza che ti succeda niente. Una democrazia è quella in cui se porti in giro la scritta «No alle guarimbas» ti spaccano la macchina e pure la faccia.