Le prossime elezioni europee non saranno un pranzo di gala, ha ragione Alfonso Gianni a ricordarlo.

Saranno una battaglia, dura e per certi versi pericolosa. E’ possibile l’implosione del progetto europeo o una sua deriva verso l’irrilevanza, in assenza di luoghi sovranazionali di potere e rappresentanza reale rispetto all’esclusivo rapporto di forza fra Stati che si credono sovrani.

Ma è necessario intendersi. Pensare che questa battaglia dura e pericolosa possa essere condotta perdendo tempo per decidere se bisogna stare dentro o fuori la Ue, significa in realtà abbandonare già il campo alle forze nazionaliste e reazionarie e dichiararsi già sconfitti.

Significa coltivare l’illusione rivoluzionaria certo generosa, soprattutto conoscendo Alfonso, che sia possibile buttare giù tutto e ripartire su nuove basi. Non è così. Perché l’Unione europea di oggi è un campo di battaglia che va al di là delle forze liberiste, del capitale, dei cattivi insomma. E respingere in toto i trattati e le direttive (tutte?) significa negare quei risultati ambientali, ma anche sociali ed economici, perfino di diritti che hanno garantito che non ci fosse la guerra fra noi, e sono state di appoggio a tante lotte anche in italia.

C’è un precedente peraltro: la sconfitta ai referendum del 2005 del Trattato costituzionale-con tutti i suoi limiti- ha in realtà significato l’abbandono del campo europeo di tutte quelle forze, che si erano impegnate a ricostruire un’iniziativa costituzionale e invece si sono ritirate nei loro confini nazionali, ieri contro Sarkozy oggi contro Macron. E ha facilitato il ritorno in forza dei governi come perno del potere, perché l’interpretazione diceva che i “popoli” avevano parlato non contro un Trattato brutto ma contro l’Europa tutta.

La confusione fra la battaglia contro la Ue come tale e contro le sue politiche ha favorito la destra, che ha saputo usare l’Ue e vincere la battaglia del consenso, dividendo i popoli. Il fronte progressista si è diviso e, oggi invece di organizzarsi per sapere come vincere le elezioni, perde tempo per capire se non è meglio abbandonare il campo perché chi governa è brutto e cattivo.

Io ho considerato l’esperienza della lista Tsipras una grande occasione perduta.

Dopo l’appello bellissimo di Barbara Spinelli che chiamava a raccolta gli “europeisti insubordinati” in cui noi Verdi ci riconoscevamo totalmente, avevamo chiesto una discussione e proposto convergenze; ma ci siamo dovuti arrendere al fatto che quella lista non era per nulla aperta; e infatti non ha generato una mobilitazione che è stata capace di rimanere dopo le elezioni.

Oggi questa situazione rischia di ripetersi, con l’aggravante che mentre 5 anni fa la maggioranza degli europeisti insubordinati era convinta che la Ue era lo spazio nel quale battersi contro austerità e nazionalismo, e che fosse possibile e auspicabile una democrazia sovranazionale, oggi questa convinzione pare meno forte.

Non condivido la divisione che fa Alfonso Gianni dei fronti in campo.

Non c’è solo il fronte di Maastricht e quello di Orban. C’è anche quello di Ventotene. O almeno bisogna costruirlo e renderlo cosciente di sé.

Rinunciare a farlo significherebbe essere complici di una disfatta che oggi non è inevitabile.

I verdi europei sono una famiglia forte e in crescita in molti paesi europei.

Non in Italia è vero. Ma questo non significa rassegnarsi a stare fuori dal dibattito. Che spero troverà luoghi e occasioni davvero plurali e costruttive bei prossimi mesi.