Ne parla ampiamente Michael Pollan nel suo Una seconda natura, come di una vera ossessione.

Negli States ma anche in Gran Bretagna – e purtroppo importata anche da noi – questa usanza di tosare a zero il prato imperversante non accenna ad affievolirsi.

Nato per impersonare la Frontiera, la terra senza recinzioni, il prato inglese, quelle poche yarde davanti ogni casa americana che si rispetti, ha imposto la propria presenza nel mondo intero. Se una volta si usava falciare a mano, poi vennero i tosaerba meccanici, quindi, a motore: il loro uso massiccio sul pianeta terra è talmente inquinante da costituire un serio problema ecologico. Insieme alla tremenda invasione dei soffiatori a benzina, la moda del prato inglese ha trasformato il più remoto paesello di montagna in una appendice della rumorosa, inquinata città. Il rumore dei tosaerba, vedere aggirarsi sui prati migliaia di giardinieri della domenica con cuffie ed attrezzo alla mano, guasta ogni bucolica idea di quiete campestre. Ed è una questione estremamente seria. Quella cotica vitale, lo strato superficiale di terreno, continuamente tosato, si impoverisce; con gli anni diventa stoppaccioso ed arido, l’ostinazione perdurante di questa monocultura del prato inglese comporta perdita di humus, perdita di biodiversità, perdita di nutrimento per le preziose api: se si vuole sradicare ed estinguere ogni tarassaco, ogni ciuffo di piantaggine o malva dal proprio prato, cosa resta per attirare le api al loro prezioso lavoro?

Un consumo di carburante inutile. Una fatica da Sisifo elettrico che non ha mai fine. Eppure si tratta di una mania moderna. La presenza di prati grassi, ricchi di erbe molteplici, fino all’avvento delle automobili, era considerata ricchezza: gli animali se ne pascevano, un equilibrio costante era mantenuto senza bisogno di ricorrere a tosature capillari.

Come invertire la tendenza? Si può. Intanto, nei nostri orti, dovremmo imparare che è necessario solamente sradicare i rovi, impariamo a conoscere i nomi delle infestanti, le erbacce non esistono.

Impariamo ad apprezzare la bellezza del dente di leone, del tasso barbasso, a cucinare l’ortica, ottima per risotti, impariamo a fare decotti di malva. Già questo atteggiamento diverso, questo porsi in maniera benevola verso le erbe selvatiche, sarebbe una rivoluzione. Possiamo fare di meglio.

Anziché intestardirci a voler rasare tutto a zero per una questione scioccamente estetica, mettiamo a dimora delle piante, che, poco alla volta e senza necessità di interventi continui, abbelliscano il nostro prato. Iris, fresie, emerocallis, tutta una serie di piante che estendendosi in superficie ed in breve tempo ci tappezzano di fiori magnifici laddove non coltiviamo e ci risparmiano l’uso del tosaerba inquinante ed assordante. Non è difficile, se non abbiamo un amico che ci faccia pascolare un bell’asinello o qualche pecora, possiamo fare così.

Bisogna pensare che con la crisi presente ogni fazzoletto di terra non coperto da cemento o asfalto resta da salvaguardare come luogo nel quale la natura selvatica, o almeno addomesticata con fantasia e garbo, possa ancora dare ricetto alla microfauna. Un prato inglese, esattamente come i campi da golf, uccide biodiversità e consuma acqua senza rendere indietro alla comunità proprio nulla.

Proviamo ad immaginare nel nostro piccolo pezzo di terra qualcosa di diverso da una piatta e sempre più povera cotenna verde.