Monica Ferrando: “Un privilegio inserirsi in una conversazione accesa dal libro di Ginevra che rivela Dio come ‘il Dio dimezzato’, senza la sua parte migliore: la Dea. Una questione di parole? lo è. Questo Dio, divenuto universale come Logos, non è il discorso plurale della ricerca filosofica o delle religioni della Terra, ma quello unitario del Padre. Alla Madre, conservata e superata, secondo un principio teologico-dialettico storicamente vincente, è assegnato un ruolo subalterno, che l’evoluzione razionale della religione del Padre ha poi cancellato.

Risultato: un Uomo dimezzato, ferino ostaggio della forza, al quale l’“accordo tra galoppo e ritornello, la congiunzione tra maschile e femminile dentro e fuori di noi” è estranea. Distruzione, punizione e mistificazione diagnosticano la reazione del logos patriarcale a ogni possibile tentativo di spodestarlo e impedirgli di togliere santità alla natura (estrazione selvaggia); alla donna (riduzione a merce); alla parola (prevaricazione sofistica). Una “prospettiva atea sul divino” non sarà l’unico modo di salvarlo come nomos, senza quella legittimazione teologica di cui il logos non aveva ontologicamente bisogno se esso coincide, dice Eraclito, con psyche, e di cui invece si è servita per dominare il mondo?”

Sarantis Thanopulos: “La coppia Madre e Padre oscura la coppia madre-padre, significante della congiunzione erotica, che fa di noi i figli desiderati di una donna capace di amare un uomo o un’altra donna dentro o fuori il matrimonio, nel momento concreto del concepimento o potenzialmente, nel momento in cui il suo amore è libero. L’equilibrio normativo che rende la Madre subalterna al Padre, e la donna all’uomo, ma non annienta la loro differenza, è il frutto di una resistenza con cui la coppia erotica (nella sua doppia declinazione, eterosessuale e omosessuale) rende manifesto il suo persistere. L’equilibrio tende oggi a regredire nella legittimazione/fondazione teologica del logos, lo spettro di un Padre totalmente identificato col principio fallico (l’erezione dissociata dalla congiunzione e la parola dall’esperienza corporea) di cui la Madre diventa il ricettacolo. L’equilibrio, hai ragione, deve essere, invece, sovvertito. L’amicizia “atea” dell’umano con il divino, della coppia erotica con ciò che la eccede (il desiderio stesso che la costituisce), destruttura l’eccedente fatto sistema normativo e apre gli amanti/amici (al tempo stesso legati e liberi) all’infinito (divino) delle differenze, del molteplice.”

Ginevra Bompiani: “Ringrazio Monica per la limpida chiarezza con cui ha detto cose tanto importanti. E Sarantis per averle così lucidamente complicate, che ora mi aggrapperò a una parola comune fra voi, per inserirmi nella conversazione: la parola ‘ateo’, in cui non mi riconosco. Per me l’ateismo non si concilia con la nitida percezione di ‘ciò che ci eccede’, né, d’altra parte, come mi sembra dica Monica, c’è bisogno di ‘credere’ nel divino per vivere nelle sue vicinanze. Comunque, mi sembra che il vero oltraggio al divino sia farne il modello di ogni potere umano. La terribile coincidenza della parola biblica con il patriarcato ha trasformato la possibile amicizia fra divino e umano, maschile e femminile in una servitù. Ed è proprio l’esercizio del potere che dimezza l’uomo, dopo aver dimezzato Dio. Il potere è la scissione che il patriarcato infligge loro. Il capo non può mai essere intero. Il servo non può mai essere uno. Solo gli ‘ultimi’, quelli che secondo Gesù saranno un giorno i primi, hanno accolto il divino come ciò che dà senso al dolore. Ed è un sentimento molto vicino all’amicizia. Per questo, gli ultimi (coloro che non esercitano alcun potere) potranno essere colmati alla fine dal senso divino dell’amicizia. O almeno, è così che me lo figuro.”