«E’ una battaglia di civiltà, una battaglia in nome dei diritti contro l’oppressione e l’abuso. La massiccia partecipazione e diffusione della protesta conferma la volontà di tutti i palestinesi, in Israele e nei Territori occupati, di non rimanere in silenzio di fronte a progetti (del governo israeliano) inaccettabili, perchè profondamente ingiusti e antistorici». Si emozionava ieri Suhad Bishara di Adalah, il Centro di assistenza legale alla minoranza palestinese in Israele, rispondendo alle nostre domande. La colpivano le notizie in arrivo da città e villaggi della Galilea, da Akka e Lod, da Haifa e Gaza, da Ramallah, Hebron, Nablus e Beersheva, dove i palestinesi hanno osservato uno sciopero generale e in migliaia sono scesi in strada per protestare il Piano Prawer, dal nome dell’alto funzionario che lo ha elaborato. Si tratta di un progetto di “delocalizzazione”, di fatto un trasferimento forzato e di urbanizzazione in township per circa 40mila beduini israeliani residenti nel Negev, di distruzione di 45 villaggi e piccoli insediamenti (mai riconosciuti dalle autorità nonostante in parte esistano prima della nascita di Israele nel 1948) e della confisca di oltre 85 mila ettari di terre. E’ una deportazione verso moderne baraccopoli, agglomerati urbani che finirebbero per uccidere il tradizionale stile di vita beduino. I risarcimenti previsti dal governo sono giudicati dai beduini, o da gran parte di essi, un po’ di  zucchero per addolcire una medicina molto amara.

Ad indire le proteste è stato lo “High Follow-Up Committee for Arab Citizens of Israel”, che riunisce ong e partititi politici e che individua nel Piano Prawer, approvato dalla Knesset in prima lettura, un chiaro esempio di «proseguimento della Nakba», in riferimento alla «Catastrofe» del 1948, quando circa 750mila palestinesi furono espulsi o costretti dalla guerra a lasciare le loro case e le loro città. «Non possiamo non vedere e capire ciò che è avvenuto, in particolare in questi ultimi anni», aggiunge Suhad Bishara «l’estremismo nazionalista di varie formazioni politiche israeliane ha preso sempre di più di mira di diritti della minoranza araba. Nella stessa Knesset sono state presentate e talvolta approvate leggi che ci colpiscono e mirano a trasformare la storia di questa terra». Secondo Bishara le proteste di ieri – le più ampie con palestinesi di Israele e dei Territori occupati assieme dal 2000 a oggi – potrebbero rappresentare l’inizio di una serie di iniziative “unitarie” per la difesa dei diritti palestinesi. Non sembra però essere questa l’intenzione dei vertici di Fatah in Cisgiordania e di Hamas a Gaza, i due principali movimenti politici palestinesi che per ragioni diverse – il primo per non acuire la tensione con Israele; il secondo che, dopo i fatti egiziani, guarda con sospetto e timore a manifestazioni non gestite dai partiti politici – hanno dato un sostegno debole, quasi inesistente, alle iniziative contro il Piano Prawer.

Ieri una delle manifestazioni più partecipate si è tenuta a Beersheva, la “capitale” del Negev, dove sin dal mattino circa beduini e palestinesi giunti da varie località si sono radunati scandendo «Il Piano Prawer non passerà». La reazione della polizia non è tardata ad arrivare. Gli agenti, alcuni dei quali a cavallo, hanno caricato la manifestazione “illegale” ferendo una dozzina di persone. Nei tafferugli sono rimasti contusi anche due poliziotti. Un corteo è partito inoltre dall’Università “Ben Gurion” di Beersheva.

La «delocalizzazione» dei beduini è parallela a un piano molto ampio di sviluppo del Negev messo a punto dal governo Netanyahu che, tra le altre cose, ha finalità militari. E’ notizia del 2012 l’avvio nel Negev, un territorio enorme con una popolazione ridotta, della costruzione della più grande base di addestramento a Sud d’Israele, lunga 30 km e che accoglierà annualmente 10mila soldati da “formare” a partire dalla fine del 2014. Costo: 650 milioni di dollari. Secondo l’esercito israeliano, la costruzione della nuova base darà lavoro a 20- 30mila israeliani impiegati nel settore delle costruzioni.