[A chi la vorrebbe partito politico conclamato dalla regia dell’astensione in Emilia-Romagna, risponde con il ritorno alla “via giudiziaria”. Contro il governo e il suo Jobs act, la Cgil imbocca la strada che porta nei tribunali, nello specifico alla Corte di giustizia europea in Lussemburgo.

I conti del voto di martedì – 33 dissenzienti sui 308 deputati Pd – hanno dimostrato come nessuna sponda politica sia in grado di fermare la corsa della riforma del lavoro. E allora – confermando vieppiù la ritrovata sintonia con la Fiom di Maurizio Landini, precursore della via giudiziaria fino alla vittoria in Corte Costituzionale sull’articolo 19 dello Statuto contro la Fiat di Marchionne e che già aveva anticipato l’idea dei ricorsi contro il Jobs act – ecco l’annuncio di Susanna Camusso.

Corroborata dalla sentenza di ieri a favore dei precari della scuola, il segretario della Cgil lo dice chiaro e tondo: «Contro il Jobs act valuteremo tutte le strade, anche il ricorso all’Europa. La lettura degli articoli 30 e 31 della carta di Nizza dice che è possibile, ci penseremo, ci proveremo. Questi sono i casi in cui diciamo: meno male che l’Europa c’è».

Leggiamoli allora assieme questi articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sottoscritta il 7 dicembre 2000 nella città francese. «Articolo 30 (Tutela in caso di licenziamento ingiustificato):Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. Articolo 31(Condizioni di lavoro giuste ed eque) 1. Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose».

Articoli che stridono con ciò che è previsto nel decreto delega al governo in fatto di contratto a tutele crescenti sostanzialmente senza articolo 18, demansionamento e controllo a distanza, specie nel riferimento alle «prassi nazionali».

Naturalmente per presentare una denuncia la Cgil dovrà attendere la cosiddetta «attualità del danno» e dunque il testo della delega – in bianco – al governo e il deposito dei decreti delegati. «Vedremo come li scriveranno. Vedremo se decidono nel chiuso delle stanze o se aprono un confronto», sottolinea Camusso. «Non è l’approvazione al Parlamento che ci ferma per cambiare le norme che riteniamo sbagliate, continueremo la nostra iniziativa e anche alla luce della sentenza di oggi (ieri, ndr) che ha confermato che, quando dicevamo che l’uso dei contratti a termine in quel modo contrastava con le direttive europee, avevamo ragione», sottolinea il segretario della Cgil.

A proposito di un’eventuale consultazione Susanna Camusso avverte: «C’è tanta strada prima di porsi il tema del referendum», invece già appoggiato nel caso in cui il quesito della Lega in fatto di abolizione della riforma Fornero delle pensioni passasse il giudizio di legittimità della Corte costituzionale.

La denuncia contro il decreto Poletti – la legge 78 che prevede l’assenza di casualità e la reiterazione fino a 3 anni del contratto a tempo determinato, andando contro la «prevalenza» del tempo indeterminato fissata nella carta europea – la Cgil l’ha presentata il 15 luglio alla Commissione europea. «L’auspicio è che la commissione ne discuta entro l’anno», si augura Ivano Corradini, responsabile dell’Ufficio giudiziario della Cgil, la vecchia “consulta”.

A spiegare meglio i termini della questione è uno dei componenti, il professor Amos Andreoni dell’università Sapienza di Roma: «La Commissione europea deve valutare l’attendibilità del ricorso e poi trasferire la denucia alla Corte di Giustizia. Una procedura molto più veloce ci sarebbe se un giudice italiano, in caso di ricorso contro il decreto Poletti, rilevasse che quella norma collida con quella europea e decidesse per un rinvio pregiudiziale direttamente alla Corte di giustizia europea».

Più in generale Andreoni critica l’atteggiamento del governo e della Confindustria. «Se fossi un consulente del lavoro per conto di un’impresa sarei molto preoccupato. La legislazione del 2001 in poi in fatto di lavoro è stata sempre sbagliata, ha sempre lasciato spazio a contenziosi e ricorsi. Da anni va avanti una guerriglia giudiziaria che ha avuto come conseguenza una delocalizzazione massiccia. Anche il Jobs act va in questa direzione, altro che certezza del diritto», conclude.