Sono le 8 del mattino, mancano quattro giorni alle elezioni primarie e i partecipanti alla marcia si preparano ad affrontare a piedi i 12 chilometri di estensione della città di Buenos Aires. Non sono sportivi che fanno trekking né tanto meno flaneurs.

Sono migliaia di lavoratori, disoccupati e membri delle cooperative dell’economia popolare che si mobilitano per chiedere un lavoro dignitoso. È nell’estremo ovest dell’Argentina che inizia la lotta, a San Cayetano, patrono del pane e del lavoro e si dirigono nel polo opposto, a est, davanti al Congresso nazionale e al presidente Mauricio Macri.

Ogni anno è tradizione piantare le tende o bivaccare in piazza per vari giorni e chiedere lavoro al santo con la spiga in mano, ma a partire dal 2016 la marcia è diventata un emblema del sincretismo popolare che affronta il governo neoliberista di Macri.

Quest’anno i movimenti sociali – credenti o no – hanno convocato alla mobilitazione con le parole d’ordine «Pace, pane e lavoro» e «Terra, tetto e lavoro», due consegne che suonano ridondanti ma che hanno origini diverse: la prima risale alla grande marcia del 30 marzo 1982 contro la dittatura militare; la seconda si deve a papa Francesco.

Entrambe continuano a essere attuali visto che i dati ufficiali parlano di una disoccupazione al 10,1%, una sottoccupazione all’11,8%, l’inflazione al 55% e il valore del dollaro 46 volte superiore al peso argentino, un rapporto debito-Pil all’88,5%.

Prima di iniziare a camminare su Avenida Rivadavia, lunga come la Gran Via de les Corts Catalanes di Barcellona, i vari gruppi distribuiscono bevande calde e alfajores, indossano gilet, cappellini, e portano bandiere e cartelli, vivande, bottigliette d’acqua, microfoni e playlist musicali. Molti sono venuti con la famiglia, con bambini in braccio o nei passeggini. Nulla è lasciato al caso, non si può improvvisare in una camminata di 12 chilometri.

Gli organizzatori principali sono la Confederazione dei lavoratori dell’economia popolare (Ctep), la Corrente classista e combattiva (Ccc) e il movimento «Barrios de Pie». Quest’anno, diversamente dal passato, partecipano anche le maggiori sigle sindacali del Paese, ovvero la Confederazione generale del lavoro (Cgt) e la Centrale dei lavoratori dell’Argentina (Cta), a dimostrazione dell’unità di fronte alle politiche di Macri tra lavoratori dell’economia popolare, disoccupati, e movimento dei lavoratori formali rappresentato dalle grandi centrali sindacali.

Maxi e Daniel vestono tute beige e portano caschi gialli. Sono cooperatori edili in opere che vanno dagli impianti fognari alle costruzioni di case nella zona della Matanza, uno dei municipi più popolosi della provincia di Buenos Aires con 2 milioni e mezzo di abitanti.

«Col governo di Macri è calato il lavoro – dicono – Noi siamo 70, e a volte 50 lavorano e il resto deve aspettare che salti fuori qualcosa». Silvia cammina tenendo con una mano sua figlia di 4 anni e con l’altra una bandiera. È la prima volta che viene, dice, «perché nel quartiere la situazione è complicata, tutti i prezzi aumentano e non ce la facciamo», oltre al fatto che «non c’è lavoro e perciò chiediamo ammortizzatori sociali».

Daniela ha 27 anni e fa parte del Movimento dei lavoratori esclusi, la «mal chiamata economia informale», dice. «Ci uniamo a questa tradizione del popolo argentino con la rivendicazione più terraterra, perché qui ci sono responsabili con nomi e cognomi che devono garantire che le nostre necessità di base vengano soddisfatte».

Questa coalizione di forze ha elaborato anche progetti di legge per ottenere una dichiarazione d’emergenza sociale che ripristini diritti al lavoro «in un contesto generale di tagli». Sono circa centomila persone, consapevoli che la «rivoluzione dell’allegria» dell’attuale governo le ha lasciate fuori. Domenica, anche grazie al loro voto, capiremo se il vento è finalmente cambiato.