Con le cautele che sono necessarie prima di lanciare uno scontro dagli elevati costi, con l’attenzione alla più efficace formulazione dei quesiti per non scagliarsi contro obiettivi fasulli – rischio che sta correndo l’associazione Possibile – con il rispetto dovuto all’autonomia dei comitati e con la massima attenzione a non compiere passi falsi destando sospetti di strumentalizzazioni, il problema politico del referendum non può essere eluso.

Dinanzi a un avversario che, con il ricatto del voto di fiducia e senza un esplicito mandato democratico, cambia la costituzione, manipola la legge elettorale, maltratta la scuola pubblica, altera il diritto del lavoro non è possibile rimanere indifferenti. A chi, con eccezionali forzature, contando su appena il 25 per cento dei voti, ferisce la costituzione e scrive regole su misura delle proprie convenienze, non si può che rispondere con mezzi estremi. Il terreno e l’intensità dello scontro lo determinano anche gli avversari, e dinanzi a certe provocazioni simboliche e rotture sostanziali non si può far finta di non vedere.

A Renzi, che annuncia in giro per l’Europa che nel 2016 promuoverà un grande referendum-plebiscito sulle riforme costituzionali, bisogna rispondere con una strategia spregiudicata, che maneggi le sue stesse armi. Alle tappe di una guerra di movimento, con le quali il capo dell’esecutivo spezza le regole antiche dei sistemi rappresentativi e impone soluzioni di forza senza che nessun contrappeso istituzionale rallenti le sue private volontà di potenza, si reagisce con efficacia solo disegnando un percorso speculare e di segno contrario.

Al sovversivismo dall’alto di chi sfrutta senza remore il plusvalore politico dei numeri alterati da una legge truffaldina, si può rispondere solo con la mobilitazione dal basso che veda il coinvolgimento di comitati, associazioni, movimenti, cittadini. E ciò esige il recupero delle stesse tecniche di combattimento proprie della guerra di movimento adottate dal governo. Si tratta di tattiche che vanno adottate anche da chi non le predilige come normali modalità dell’agire politico, ed è consapevole delle sproporzioni delle forze schierate nello scacchiere bellico.
Al disegno del governo, di chiedere un’acclamazione plebiscitaria con un sì e un no alle riforme imposte manu militari ad un parlamento strapazzato per anni senza alcun rispetto della forma, occorre reagire con una prova di resistenza democratica che saldi la questione costituzionale e l’emergenza sociale. Se il governo diventa sistema autoreferenziale, e calpesta i residui spazi di controllo istituzionale, contro di esso si apre una questione di legittimità e occorre mobilitare la voce della protesta, gli spazi di cittadinanza attiva.
Il sogno plebiscitario, di ricevere l’unzione del popolo sulla mitologia della grande riforma che nello stesso giorno del voto regala un capo al calar della sera, deve essere contrastato facendo riaffiorare nello spazio pubblico l’incubo delle fratture sociali e territoriali che il governo ha lasciato aperte e, con la sua fedeltà alle leggi europee del rigore, fatte incancrenire.

Al referendum dall’alto, di un governo che progetta un regime plebiscitario senza vitali contrappesi e lo chiama democrazia decidente, è inevitabile contrapporre un referendum dal basso, che misuri l’accettazione degli elettori di tutte le scelte costose che l’esecutivo ha imposto senza tregua, con la ghigliottina dei tempi della libera discussione parlamentare.

Per precise responsabilità del governo, si spalanca una questione di legittimazione che in una democrazia mai dovrebbe verificarsi: una polarità sistema-cittadini, potere-popolo.
Ad una situazione di eccezione, prodotta da un ciclo lungo di forzature dall’alto che i custodi hanno guardato con distacco o avallato salutandole come inevitabili, si risponde con una scenografia di eccezione che chi è costretto a subirla può solo cercare di convertire in occasione di rigenerazione politica che promana dal basso: passare attraverso il pronunciamento del popolo-sovrano per ricostruire gli equilibri infranti dell’ordinamento costituzionale.

Il movimento dei tre sì (all’abolizione del ballottaggio e del premio di maggioranza previsti dall’Italicum, del Jobs Act e della buona scuola) deve scandire le tappe di una intensa fase costituente per la rinascita, nel solco della costituzione repubblicana, di una sinistra sociale e politica in Italia. A un governo di minoranza, che schiaccia le regolarità delle istituzioni democratiche (sacrificando il principio di compromesso che sempre contraddistingue le democrazie moderne quando sono alle prese con le questioni sociali e costituzionali-elettorali), è possibile rispondere con un metaforico appello al cielo, cioè con uno scontro che affidi al popolo sovrano la parola definitiva sul destino di leggi controverse che hanno scatenato vasti movimenti di rivolta, scioperi generali.

La raccolta delle firme per i referendum deve diventare una componente visibile del processo costitutivo dal basso del nuovo costituzionalismo radicato nelle credenze diffuse. Una vasta mobilitazione nei territori, attorno a tre grandi questioni dal forte impatto identitario, deve scandire, nel rispetto dell’autonomia dei comitati, anche i tempi della rinascita di una politica organizzata a sinistra.
Un moderno soggetto della costituzione, del lavoro e della cultura: questo è il disegno da perseguire con coerenza, per colmare un vuoto di offerta politica che sprigiona effetti disfunzionali nella vicenda repubblicana. I tre quesiti referendari sono l’asse portante di una ricostruzione della rappresentanza politica e sociale, andata in fumo con ricadute drammatiche sulle condizioni di vita.

Il 2016 si annuncia come un anno costituente. L’alternativa che si profila è tra la rivoluzione passiva caldeggiata da Renzi e la ridefinizione di una democrazia costituzionale con un movimento di classe, di popolo e del sapere che assuma il compito di una ricostruzione del sistema politico oltre lo spaccato del leaderismo della narrazione e del populismo arroccato nelle stanze del potere.

In vista del momento referendario sono destinate ad esplodere le principali contraddizioni che per ora sono tenute sotto pressione da un misto di opportunismo e percezione della inferiorità nel rapporto di forza con l’avversario. La minoranza del Pd non potrà più denunciare la “deformazione democratica” e poi giocare di rimessa e tangibile sarà la verità, sinora misconosciuta, per cui l’alternativa a Renzi, oltre che alla destra, è una necessità politica e costituzionale.

Anche il M5S dovrà sciogliere il nodo della sua effettiva natura e svelare le radici del suo ruolo storico-politico nella democrazia repubblicana. Dinanzi alla possibilità di un’alternativa politica e culturale al plebiscitarismo e al liberismo renziano, per la riformulazione dei pilastri della democrazia costituzionale, il non-partito grillino dovrà sporcarsi le mani e cimentarsi con le tattiche dell’intesa e del compromesso, che da sempre sono le condizioni ineliminabili della lotta politica.

Il trionfo plebiscitario del partito della nazione non è scontato se ad esso si contrappone un movimento referendario vasto, dalla composizione plurale, che unifichi lavoro, sapere e costituzione. Entrando nell’eccezione imposta dall’avversario, occorre avere in testa che dopo Renzi tornerà la guerra di posizione, ora è tempo di guerra di movimento.