Il Decreto Legge D’Alia (101) sul pubblico impiego continua il suo faticoso percorso alla Camera e dovrebbe essere approvato il 30 ottobre. Manca dunque meno di una settimana prima della seconda ratifica del licenziamento di almeno 40 mila precari (i sindacati parlano anche di 70 mila) dagli enti di ricerca, dalla sanità e da molti altri servizi pubblici essenziali. Nessuno di loro potrà partecipare ai concorsi «meritocratici» (120 mila) che dovrebbero iniziare a mettere fine al precariato nella pubblica amministrazione. Questa sarebbe l’aspirazione del governo, ma non dei sindacati confederali che cercano di scaldare gli animi in vista dello sciopero di 4 ore contro la legge di stabilità. Ieri i lavori sono andati avanti a singhiozzo.

«Scandaloso il blocco dei lavori perché il governo non trova le coperture – ha commentato il coordinatore nazionale di Sel Ciccio Ferrara – Il decreto blocca la possibilità di prorogare i contratti a termine, mettendo a rischio una serie di servizi come il pronto soccorso, i centri di ricerca o gli asili». I vendoliani chiedono almeno la proroga dei contratti dei precari, ma nella discussione sugli emendamenti è stata accantonata, tra le altre, anche la richiesta di cancellare la norma che impedisce la partecipazione ai concorsi da parte dei precari che hanno meno di tre anni di lavoro continuativo.

«Il decreto D’Alia – ha aggiunto Titti Di Salvo, vice-capogruppo alla Camera di Sel – tiene fuori dalla stabilizzazione le persone assunte con contratto interinale o di collaborazione». Persone che alla scadenza del contratto (laddove non è stato già prorogato, è prevista nel 2014) torneranno disoccupate, spesso dopo anni di lavoro in ruoli centrali e una o più prove o concorsi. «Se il parlamento non modificherà le norme contenute nel Decreto Legge – ha aggiunto Domenico Pantaleo, segretario Flc-Cgil – si assumerà la responsabilità di pagare un prezzo mostruoso alla stabilità del governo Letta: il licenziamento dei precari». Il decreto è stato attaccato ieri da Vendola, «loffio» l’ha definito, e questo ha provocato la reazione stizzita del ministro della Pa Giampiero D’Alia: «Vendola non ha letto il Dl o fa finta di non capire. Noi cerchiamo di facilitare l’ingresso dei giovani che hanno vinto un concorso pubblico ma sono fuori dalla porta delle amministrazioni, selezionando i migliori tra chi ha lavorato per più di tre anni».

D’Alia non vuole cogliere il punto delle critiche che gli vengono mosse dalla sinistra, come da tutto il coro dei sindacati. Il suo decreto rischia di mettere fine, ad esempio, alla «collaborazione» ormai stabile della stragrande parte dei 373 precari all’Istat, praticamente la metà del personale. Oppure metterà in ginocchio l’intero Centro nazionale delle ricerche, dove i precari sono addirittura 1100. Non è un caso che a guidare l’opposizione disperata contro il Dl siano tutti gli enti di ricerca. Dopo la settimana di sciopero dei precari dell’Istat, ieri il personale precario e i ricercatori, insieme ai sindacati, sono intervenuti nel Cda del Cnr mentre era in corso una seduta. Il presidente dell’ente Luigi Nicolais si è impegnato a «non mandare nessuno a casa». A molti ricercatori il contratto scade il prossimo 2 novembre e l’approvazione del Decreto D’Alia rischia seriamente di licenziarli.

L’intero mondo degli enti di ricerca è mobilitato. Martedì 29 è prevista una grande assemblea presso l’Isfol. La mobilitazione potrebbe continuare anche con uno sciopero generale della ricerca pubblica. La gamba destra delle larghe intese, con l’ex ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta, non vuole sentire ragioni e attacca, ma per motivi opposti, il decreto. Per Brunetta, il Dl D’Alia «permette il ricorso al lavoro flessibile anche solo per esigenze temporanee e deroga al principio costituzionale del concorso pubblico». Brunetta (come del resto Pietro Ichino di ciò che resta di Scelta Civica) non riesce a mandare giù la norma sulla quota dei precari (il 50%) che dovrebbe partecipare ai concorsi di D’Alia. Pd, Pdl e Scelta Civica hanno ritirato i loro emendamenti. Alle 21 di ieri sera sono iniziate le votazioni su centinaia di emendamenti (Sel, Lega, M5S e Commissioni). Una volta approvato, il decreto tornerà al Senato.